UN  PILOTA  ISTRIANO.......

 

Racconto di  Vito Carnimeo

      

-         L’antica “Riunione Adriatica di Sicurtà” per Nazario, non era solo una società assicurativa, era diventata una specie di famiglia allargata e invadente: suo nonno prima, suo padre, suo zio ed infine perfino sua sorella erano tutti dipendenti della R.A.S. Suo nonno di origini venete, era stato inviato a Zara come nuovo direttore di filiale quando la città era ancora asburgica, si era sposato li e aveva avuto sei figli di cui due maschi, ovviamente inseriti all’età giusta in RAS. Il padre di Nazario lavorava nel ramo immobiliare mentre lo zio Camillo in quello più importante della assicurazioni marittime. Quando Nazario completò gli studi ragioneristici (voluti dal padre) in filiale Ras, già lo aspettavano tutti a braccia aperte (lo zio Camillo era diventato nel frattempo direttore della sede di Zara, come era stato il nonno). Nazario resistette lì dentro due anni occupandosi di pratiche di cauzioni commerciali, poi scoppiò la guerra e poco tempo dopo dell’inizio delle ostilità si arruolò volontario in aeronautica, mascherando la decisione con alte e irresistibili scelte patriottiche. In realtà la scelta era dovuta, oltre alla voglia di fuggire dal proprio ambiente, anche dalla paura di fare la fine dello zio. Lui infatti portava il nome di un altro zio (materno), militare nella prima guerra mondiale che era morto annegato la notte del 17 marzo del 1918 quando il traghetto “Tripoli” era stato affondato da un sottomarino tedesco appena fuori di Golfo Aranci. Il giovane Nazario non voleva fare la fine dello zio e si era sempre ripromesso di non fare né il fante né il marinaio (non sapeva neppure nuotare). Invece suo padre, che era devoto al ricordo del cognato, non avendo potuto partecipare alla grande guerra aveva  chiamato i figli Italia (1914), la figlia maggiore, Armando (1915) il secondogenito e Nazario (1919)l’ultimo. Finalmente Nazario venne in Italia e cominciò a visitarla con la divisa azzurra nel ‘41. Divenne navigatore di bordo e radio-operatore l’anno dopo, alla base di Vicenza, nella specializzazione bombardieri volando sui Fiat BR.20. A fine maggio del ’41, fu inserito nel ricostituito 9° stormo da bombardamento terrestre sulla sua principale ed originaria base di Viterbo, in particolare nella 60° squadriglia del 33° gruppo. L’impiego in guerra fu ritardato, perché l’aereo in dotazione, il bimotore Fiat, era ormai completamente obsoleto ed il comando non si arrischiò a mandarli allo sbaraglio, sino all’arrivo dei più veloci e prestanti Cant Z 1007 bis, velivoli decisamente migliori del precedente.  Una volta addestrati anche al volo notturno sul trimotore in legno presso la base di Littoria, non ci furono più scuse per non andare in zona d’operazioni (cosa alla quale tutti anelavano nel reparto). Alla fine d’agosto, dal campo d’aviazione di Gerbini, vicino Catania partirono le prime missioni sull’isola  fortezza di Malta, notoriamente pluridifesa dal cielo e da terra. Il battesimo di fuoco nella tarda estate del ’42 fu drammatico. Illudendosi, dopo la battaglia di mezzo agosto, di non trovare troppa resistenza, la squadriglia dei trimotori giunse sull’isola in pieno giorno, ma ad attenderli c’erano Hurricane e Spitfire che come falchi si avventarono su di loro scompaginando la formazione, nonostante la forte scorta di Macchi 200 e 202. Un aereo alla loro destra barcollò zigzagando prima di precipitare e poco dopo un secondo trimotore si incendiò alla loro sinistra. Solo un paio di paracadute apparvero più in basso. Giunti sul forte di Sant’Elmo a la Valletta, sganciarono il carico mirando ai cantieri navali lungo i dockyard di Vittoriosa. Non poterono stimarne il risultato a causa del fumo denso. La quantità di scoppi della contraerea era impressionante, un altro trimotore precipitò fumando su Manoel Island. Il ritorno fu altrettanto terribile perchè la caccia nemica riprese a perseguitarli appena sopra Gozo. Un Hurricane si avventò  su di loro dall’alto, invano le mitragliatrici difensive tentavano di contrastarlo, i proiettili arrivavano dapperttutto, scoppiettando e miagolando sinistramente all’interno del bombardiere. Il mitragliere Sante Curzio si piegò urlando su se stesso. Non seppero neppure loro come riuscirono a sfuggire all’avversario e ad allontanarsi, ma tutti esultarono di gioia alla vista della costa sicula. Rientrati alla base, ricoverarono subito “il vecchio”Curzio (trentatre anni  e quattro figli) con la caviglia orrendamente spappolata e quasi staccata. Contarono almeno settanta fori di pallottola a bordo (“ .....meno male che erano da 7,65 e non da 12” esclamò Nazario ai commilitoni.). Dalla Sicilia le operazioni continuarono per diverse settimane e ogni volta Malta pareva “la porta dell’inferno”. Dopo i primi tre velivoli persi, seguirono altre perdite che frustrarono grandemente il morale degli equipaggi. Fu un gran sollievo per tutti quando verso la fine dell’ anno giunse l’ordine del cambio con un altro reparto fresco. Nazario ormai aveva incubi quasi tutte le notti e non solo prima delle missioni. La meritata licenza natalizia a Zara fu forse il più bel periodo della sua vita, tutta la famiglia riunita intorno a lui nella grande casa di suo nonno, sarebbe stata l’ultima volta!!   Seguì un congruo periodo di riposo e di affiancamento ai nuovi rincalzi, presso la propria base di Viterbo. La calma durò alcuni mesi con voli di collegamento fra basi d’oltremare in Montenegro e voli di scorta ai convogli nel basso e medio adriatico, sino al momento dello sbarco in Sicilia, quando un’aliquota del reparto fu precipitosamente inviata a Foggia. Nel luglio del ’43, mentre si apprestavano ad attaccare le spiagge siciliane invase, i nemici li sorpresero sul loro stesso aeroporto. Il 22 luglio la città fu praticamente rasa al suolo da un centinaio di fortezze volanti. Pur ferito alla testa da un pezzo di intonaco venuto giù all’interno del rifugio, Nazario volle offrirsi volontario per il mesto compito di soccorrere la popolazione civile, duramente colpita. Lavorò per giorni con i militari e i civili a disseppellire corpi imbiancati e ormai fetidi fra le macerie del centro città. Rimase sconvolto dalla terribile esperienza. Con l’armistizio tutto crollò intorno in un caos confusionale di ordini e contrordini, decisioni collettive e fughe individuali. Per evitare di essere catturato dai tedeschi fuggì prima con alcuni avieri sulle alture del Subappennino Dauno, poi si mosse verso le Murge. Di qui nottetempo riuscirono a passare il fronte, consegnandosi ad un reparto indiano. Lo trasferirono al comando cobelligerante italiano, che a sua volta lo inviò nel Salento dove si stava riunendo parte della nuova Aviazione italiana cobelligerante. A metà ottobre fu chiamato a costituire i ranghi del neonato Raggruppamento Bombardamento e Trasporto. Gli avieri dei CantZ1007 bis furono inseriti nella 240° squadriglia dell’88° Gruppo, presso l’aeroporto di Galatina. Ricominciò dopo poche settimane a compiere voli di addestramento. L’impiego operativo iniziò il 3 marzo del ’44 con alcune missioni all’interno del territorio yugoslavo del Montenegro, finalizzate al lancio col paracadute di rifornimenti ai partigiani titini o alla Brigata Garibaldi. L’attività proseguì intensamente, anche con voli notturni, sino alla famosa giornata nera del 14 maggio 44, quando una dozzina di Alcioni furono inviati senza scorta per una missione di aviorifornimento nella zona di Kolasin. Attaccati improvvisamente da ME.109 tedeschi e croati, cinque trimotori italiani furono abbattuti ed altri due gravemente danneggiati. L’aereo di Nazario fu tra i primi ad essere intercettato. Nazario non si accorse di nulla, dietro la sua postazione controllava il regime dei motori quando sentì sibili di proiettili che bucavano le pareti dell’aereo, il fumo invase subito l’abitacolo, sentì il comandante dare l’ordine di lanciarsi col paracadute. Mentre il terrore panico lo attanagliava non pensò agli altri ma solo a trovare la botola per lanciarsi nel vuoto.Tutti gli altri membri dell’equipaggio perirono nell’abbattimento.Caduto illeso in una boscaglia rada, venne trovato dopo alcune ore di stordimento e soccorso dai partigiani titini. Venne nascosto in un ignoto paese montenegrino in casa della maestrina Irina Mikorevich, moglie di un neo commissario politico titino, che aveva già nascosto per conto dei partigiani, un  giovane renitente Serbo e due piloti americani, già trasferiti altrove. Lui e Irina ebbero modo di parlare a lungo la sera quando lei rientrava a casa; lei conosceva qualche parola di italiano, lui vissuto a Zara se la cavava con lo slavo. Lei raccontava la propria vita di stenti prima e di delusioni poi con un  marito tutto preso dall’impegno politico. Finire con l’amarsi e innamorarsi fu la logica, inevitabile conseguenza; così quando i Russi giunsero alla frontiera rumena e i Tedeschi cominciarono a smobilitare dalla regione, i due pensarono di fuggire insieme per tentare di raggiungere l’Italia. Irina tremava all’idea del ritorno a casa del marito, molto più grande di lei, manesco e volitivo che l’aveva praticamente comprata da suo padre. Fuggirono rocambolescamente in Grecia, dopo che Irina aveva corrotto le due guardie di confine, offrendo loro tutti i gioielli di famiglia che portava con nascosti addosso. Si imbarcarono da Igoumenitza, ormai liberata dagli inglesi, e prima della fine del conflitto giunsero a Brindisi. Nazario apprese con dolore che Zara era stata duramente colpita dagli aerei alleati nel febbraio del ’45, tutto il centro storico era stato distrutto con molte perdite fra i civili, anche il padre e lo zio Camillo erano rimasti vittime.  I fratelli Armando e Italia erano riusciti a fuggire dalla città prima del bombardamento e si erano rifugiati a Milano precedendo di pochi giorni l’arrivo dei partigiani yugoslavi. Nazario e Irina vivono a Roma dal ’47, ove Nazario ha ripreso a lavorare per la Ras in una filiale di Monte Celio.

 

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