L' INTERVISTA

 

Racconto di  Vito Carnimeo

 

Giornalista: Signor Helmut Klier, il nostro giornale viennese sta dedicando una nuova rubrica ai reduci della seconda guerra mondiale a cinquant’anni dalla sua fine: Lei è uno di questi e desidereremmo intervistarla sul suo passato di combattente. Quale ex pilota della Luftwaffe, ci può dire qualcosa a riguardo della sua esperienza di guerra?:

Klier: sono stato pilota di caccia notturni in Germania col grado di Oberfeldwebel, fra il 1943 ed il 1944, presso il 7° Nachtjagdgeschwader 2. Pilotavo Ju.88 –C, con due motori BMW da 1700 cv, dotati di radar ed altre apparecchiature elettroniche; eravamo tre membri d’equipaggio  a bordo: il pilota, l’operatore radar ed il mitragliere-osservatore. Io provenivo da un disciolto reparto da bombardamento e trasporto di seconda linea di stanza in Stiria, che utilizzava i bimotori Heikel 111, ma non avevo mai partecipato prima ad azioni sulla linea del fronte. Avevo fatto però lunga pratica di bimotori ed ero già stato addestrato al volo notturno. Fui ben lieto di aderire alla richiesta dell’OKL (l’alto comando Luftwaffe) per l’assegnazione di nuovi piloti da caccia notturna ( avevo sempre sofferto d’insonnia e l’idea di volare da solo e non in formazione mi attraeva molto).  Entrai nella caccia notturna nell’estate del ’43, presso l’aeroporto di Wertheim, anche se ne utilizzavamo tanti altri. A quell’epoca le capacità della caccia notturna tedesca erano state notevolmente accresciute con tecniche abbastanza raffinate. I caccia notturni si raggruppavano su un radiofaro e venivano guidati sul bersaglio da appositi segnali visivi a terra. Col costante riferimento radio, si immettevano nel flusso dei bombardieri inglesi seguendoli al ritorno sino quasi in Inghilterra,  si posizionavano lentamente alle spalle o sotto il ventre della loro preda, totalmente invisibili, sino a quando non decidevano di sparare quasi a bruciapelo sul bombardiere prescelto. Nel mio nuovo reparto di destinazione conobbi uno dei maggiori assi dell’epoca, il maggiore  Heinrich Zu Sayn Wittgenstein, principe ereditario di Germania. Un uomo e un comandante eccezionale, decorato con la “croce di cavaliere con spade e fronde di quercia”, massima onoreficienza per un pilota, conseguita grazie ai suoi 83 abbattimenti. Lui mi insegnò parecchie cose in quei pochi mesi prima che venisse ucciso in azione la notte del 21 gennaio del ’44.

Gior.:Parliamo di lei. Quale è stata la sua prima vittoria?

Klier:  Il 1° dicembre del ’43, decollai su allarme quando le stazioni radar della costa, segnalarono l’arrivo, di una grossa formazione di quadrimotori da nord. Erano aerei Lancaster e Stirling inglesi. Non so perchè ma decollando sentiì che quel giono sarebbe potuto accadere quello che aspettavo da tempo. Nelle settimane precedenti ci eravamo concentrati moltissimo sulle tecniche di attacco notturno col nuovo radar Lichtenstein SN. Tentai insistentemente l’intercettazione più volte quella notte, ero ancora inesperto, anche il mio operatore radar, il bordfunker maresciallo Volker Pollmann, lo era ma fece di tutto per riuscirvi. Volker, il ragazzo berlinese, era un grande compagno di volo e di lotta, leale, trasparente, era sempre sicuro e tranquillo, poche parole, quelle giuste che vuoi sentirti dire quando sei concentrato ai comandi. L’avvicinamento fu lento ma preciso, il nostro aereo si inserì fra i bombardieri di uno stormo di testa. Agganciammo col nostro radar di bordo un inglese su Dortmund, ci portammo pian piano alle sue spalle, lo inseguimmo lungamente sparando brevi raffiche e tentando si scansare il fuoco della sua torretta poppiera che era molto attiva. Mi avvicinai ulteriormente e a poche decine di metri lo identificai grazie al grande timone verticale centrale, si trattava di uno Stirling.  Quando fui certo di averlo davanti al muso sparai all’impazzata; le sue ali piene di carburante presero fuoco immediatamente. Precipitò davanti a noi  quasi in verticale. Fu una grande vittoria per me, soprattutto sul piano psicologico, perchè mi diede sicurezza e mi scrollò di dosso quel senso di frustrazione che avevo accumulato prima con i bombardieri senza aver ottenuto mai un buon risultato. Il giorno dopo feci dipingere da Volker una bella sagoma di quadrimotore sul timone destro del mio velivolo; avevo fatto già disegnare un “falco rosso” sul muso del mio aereo, come quello che avevo visto dipinto sul relitto di un caccia francese tempo prima su un aeroporto dell’Alsazia. Mi piacque forse in ricordo dei falchi che vedevo sui monti del Tirolo, forse perchè avevo letto tanti libri di pellerossa da piccolo e quel nome suonava bene; poi era molto piaciuto ai miei ragazzi e Volker lo dipinse proprio bene.

Giorn.: Cosa accadde successivamente?

Klier : Dal febbraio ’44 le cose migliorarono col nuovo sensore FuG 227 Flensburg che intercettava il radar di sorveglianza del settore poppiero “Monica” dei bombardieri della RAF. La notte del 24 marzo intercettai una formazione di Lancaster su Berlino e ci sentimmo tutti scatenati a bordo. Colpimmo almeno tre bombardieri nemici ma non so se tutti precipitarono, mi fu omologato comunque un solo abbattimento. Anche se quella notte molti quartieri di Berlino furono duramente devastati, il Bomber Command inglese perse 72 quadrimotori. Quella notte la casa di Volker, nella zona di Charlottenburg, fu spazzata via insieme alla sua famiglia, il ragazzo pianse a singhiozzi per tre giorni. Una settimana dopo, il 31 marzo ‘44, il successo mi arrise nuovamente quando quasi mille bombardieri inglesi attaccarono Norimberga. Quella notte le sagome dei grandi quadrimotori si stagliarono nitidamente sul plafon di nuvole, argentate dalla luna piena. Io agii con la calma estrema e lucida che avevo sempre desiderato. Mi acquattai dietro un nemico e mi collocai lentamente nella posizione ottimale. Quando le scariche di proiettili lo investirono l’aereo esplose in volo quasi istantaneamente. Scansai i rottami alzando il muso e passai subito ad un altro bombardiere Lancaster che si intravvedeva ad occhio nudo poco più avanti. Questa volta gli passai da sotto per poter utilizzare la “schrage musik”, le armi che sparano diagonalmente verso l’alto con una inclinazione di 70°. L’aereo, colpito al ventre, andò giù lentamente ma inesorabilmente, lasciando una scia arcuata fiammeggiante, come una cometa. Un’ora dopo riuscii nuovamente a rintracciare ancora un Lancaster, che dopo un inseguimento di quasi venti minuti, al limite della autonomia di carburante, riuscii a colpire. I nostri proiettili lo raggiunsero nei piani di coda, che volarono in pezzi. Costretto a darsi alla fuga in picchiata, il quadrimotore avrebbe certamente sofferto grosse difficoltà per arrivare alla sua base, con i piani di coda distrutti ma l’abbattimento non potè essere accreditato. Non fui sempre così fortunato, a volte si volava tutta la notte senza intercettare nessuno delle centinaia di bombardieri nemici che volavano sulla Germania; altre volte all’intercettazione non seguiva il contatto ravvicinato o l’abbattimento. Combattere nel buio era maledettamente difficile.

Giorn.: Come si è conclusa la sua carriera militare?

Klier: Fu qualche settimana dopo lo sbarco in Normandia, a metà luglio ’44. Avevo già sette quadrimotori accreditati come certi ed un’altra mezza dozzina probabili. Il bordfunker Volker Pollmann era diventato un drago dietro lo schermo del Lichtenstein e del FuG 227. Quella notte su Wurzburg riuscimmo ad entrare in contatto radar con un quadrimotore, ma quando mi avvicinai lo persi nel buio. Forse l’abile pilota inglese aveva attuato una “manovra a cavatappi” per sfuggire. Deluso, continuai a pilotare nel buio mentre Volker mi guidava nuovamente su di lui. Dopo alcuni minuti egli esultò: “É davanti a noi!” mi diceva, ma io non vedevo nulla. “E’ proprio davanti a noi, spara Helmut,!”ripeteva urlando. Io non vedevo nessuna scintilla di scarico. Quella era una delle notti più buie che io avessi mai visto. Volli credergli e sparai con tutte le armi di bordo, istantaneamente una palla di fuoco esplose a pochi metri dal parabrezza blindato: l’Halifax era prorio lì, se non avessi sparato ci sarei finito addosso. Disintegrandosi il bombardiere seminò schegge e rottami ovunque, molti dei quali colpirono le ali e le eliche del nostro Junker. Questi cominciò a vibrare, a scuotersi pericolosamente e a perdere quota. Tentai un atterraggio radioguidato sulla striscia d’emergenza più vicina che non distava molto. L’impatto al suolo fu durissimo, il carrello cedette e l’aereo prese fuoco, avevamo ancora i serbatoi pieni. Riuscii a togliermi le cinture e a saltare fuori mentre tutto l’abitacolo veniva inghiottito da una vampa abbagliante e rovente; caddi a terra malamente ma tentai di soccorrere gli altri. I pompieri mi strattonarono via mettendomi in barella. Nè Volker Pollmann nè l’altro aviere a bordo poterono salvarsi. Io riportai ustioni in varie parti del corpo, in particolare al volto ( vede questa parte del viso è chiara e non cresce più barba) ed una brutta frattura scomposta al metacarpo della mano sinistra. Restai a lungo in ospedale, subendo una decina di interventi chirurgici; non potei più tornare a volare.

Giorn: Chi era Helmut Klier prima della guerra? Mi racconti qualcosa di lei.

Klier: io mi sono sempre considerato un montanaro, un “Heimat”, sono un tirolese un pò orso, nato e vissuto fra le alte valli alpine della Passiria. Io sono figlio unico di genitori già in là con gli anni, nato a Vent nel 1918, ultimo anno di impero austroungarico, poi la zona è diventata italiana ed i miei si sono spostati a in paesino di montagna appena oltre la nuova frontiera, a Heiligkreuze. Ho bei ricordi dell’infanzia e dell’adolescenza in montagna: la nostra grande casa di pietra dalle imposte blu e rosse, circondata da siepi, con i gerani a tutti i balconi, le scodelle gigantesche che preparava mia madre con carne e patate al forno e con gnocchi di pane allo speck nelle sere invernali quando fuori nevicava fitto. A tredici anni ho lasciato il paese ed ho studiato a Innsbruck, dove poi sono tornato a vivere dopo la guerra. Ogni estate sono tornato da quelle parti, sui monti della Passiria: è un’indissolubile abitudine, un legame viscerale. Il mio luogo preferito  e abitudinario è la Brandenburger Haus, quota 3272m., il rifugio più alto del Tirolo, su uno scoglio di roccia circondato da un mare di ghiacciai, il Gepatschferne. Mi piace anche passeggirci di notte ( sono sempre stato un pò nottambulo, per questo scelsi la caccia notturna!); lì si sentono sempre rumori impercettibili, come un dinosauro immobile che rumina in letargo. Mi piace fermarmi al rifugio, c’è sempre un’aria immutata, l’odore di legno centenario, il profumo di zuppa, boccali imperiali di birra alla spina. Da un pò di anni però non riesco più a salire tutta quella strada sino lassù, sà ormai ho 77 anni!!.

Giorn: Cosa ha fatto dopo la guerra?

Klier: Ho completato i miei studi da ingegnere, interrotti a causa della guerra, ho lavorato nell’ufficio tecnico del comune di Innnsbruck ma non mi sono mai appassionato molto a quel mestiere ( autorizzazioni edilizie, controlli di sicurezza o conformità ai piani regolatori, tutte scartoffie burocratiche), l’ho mollato appena ho potuto, non sopporto le regole stupide e la scarsa autonomia. Per questo mi trovavo bene a volare da solo di notte, in piena autonomia. Neanche le regole familiari mi piacciono molto; mi sono sposato due volte e due volte ho divorziato dopo poco tempo, sono troppo orso, l’ho detto! Non ho mai avuto figli, ora mi bastano i miei tre affettuosi e fedeli cani che mi fanno compagnia, un San Bernardo e una coppia di Collie, abitudinari come me

Giorn: Cosa fà ora signor Klier? Come passa le sue giornate da pensionato?

Klier: La mia grande passione da molti anni è la coltivazione delle rose: Ho una casetta piccola fuori Innsbruck, ma con un grande giardino dietro, dove posso coltivare tutte le rose che voglio ( le vendo anche e bene!!): Ho rose di color rosa: le Klaserose; quelle bianche Heritage, quelle rosse a cespuglio, le Nina Weilbull. Quelle che amo maggiormente sono però le gialle Bernstein o le Renassance, oppure quelle arancioni, le Westland. E’ così che passo il mio tempo, sono sereno non mi manca nulla.

Giorn.: Pensa qualche volta ai tempi della guerra?

Klier: Mah!, è passato tanto tempo. Di giorno mi capita poche volte di pensarci ma di notte a volte, anzi spesso, sogno di essere a bordo del mio “ Falco Rosso” da caccia e di inseguire un nemico, senza mai riuscirci. Sogno sempre di smarrire la rotta o di finire il carburante, mi agito, mi giro e rigiro. Nel buio dell’abitacolo chiedo aiuto a Volker, sempre accanto a me; il suo viso è l’unica cosa illuminata, ma lui resta muto, mi guarda fisso con occhi sofferenti ma non parla mai. Forse il mio più grande dispiacere è non essere riuscito a salvarlo quella notte vicino Wurzburg dall’incendio del nostro aereo. Forse toccava anche a me non uscire vivo quella dannata notte.

 

                                                                                  Torna a RACCONTI