Parà a Deir el Munassib, 25 ottobre 1942

di Andrea e Antonio Tallillo

 

       Un conflitto che ebbe pochissimi primi attori, affidando tutto il resto a milioni d’uomini impiegati su tutti i fronti, vide comunque in primo piano truppe d’elite come i parà. Anche l’apporto di quelli italiani merita comunque uno spazio, se non altro perché sebbene in altri modi, in un conflitto che vide protagonisti assoluti i mezzi meccanici, seppero far rivalutare coraggio e lucidità nervosa, mettendoli a frutto. Non sarà male, per una volta, dopo l’indigestione di parà americani proposti ultimamente su molte riviste e siti, ricordarci anche dei nostri, certo non ben trattati modellisticamente sino a poco tempo fa.
La Divisione Folgore era schierata all’estrema ala destra dell’Armata italo-tedesca, ad eccezione degli appoggi di Munassib e Nagb Rala, le linee si snodavano in una piana desertica agevolmente percorribile dagli inglesi, e non vi erano retrovie o quasi. Dopo la prima cortina d’avamposti, seguivano ampi campi minati, sorvegliati da nidi di mitragliatrici ed armi controcarro, più avanti le posizioni di resistenza, disposte a scacchiera.
Articolata in tre gruppi tattici, supportati dal 185° Reggimento artiglieria (contratto in I e III Gruppo) e dai pezzi di altre unità italiane e tedesche, la Divisione presidiava anche il saliente di Deir Alinda/Deir el Munassib, un immenso altipiano liscio, che dava il controllo su di una serie di piste camionabili, col Raggruppamento Bechi costituito dai Battaglioni del 187° Reggimento (II -meno la 6^ compagnia-, IV e X), tre batterie di artiglieria (due del III Gruppo/185° Reggimento e la compagnia cannoni reggimentale).
Si era potuto capire che si andavano ammassando davanti ai parà ingenti forze, con 50-60 batterie già in posizione, oltre le linee inglesi si stava preparando una battaglia importantissima dal punto di vista anche politico, con larghezza di mezzi e rifornimenti. Il "rullo compressore" alleato era costituito principalmente dalla 7 a Divisione corazzata inglese, dalla 50 a e 44 a Divisione di fanteria inglesi, un gruppo francese e formazioni d’assalto tratte anche da reparti neo-zelandesi ed australiani, oltre alle truppe di supporto. Non è facile fare delle stime precise, ma è attendibile un totale di oltre 50.000 uomini per il XIII Corpo d’Armata inglese, con più di 200 carri, 150 blindati ed un centinaio di carriers.
Poco prima delle nove di sera del 23 ottobre, un migliaio di cannoni inglesi aprì il fuoco sulle prime linee dell’Asse, con un concentramento mai visto prima nel deserto. La valanga di granate finì alle ore 01,30, non senza aver battuto per 15-20 minuti anche le nostre posizioni d’artiglieria prima di spostarsi in avanti. L’offensiva aveva lo scopo di sfondare le linee italo-tedesche con uno sforzo principale a settentrione, mentre a meridione la ‘Operazione Lighfoot’ prevedeva che le nostre unità venissero ‘fissate’ con un attacco definito diversivo ma che se avesse funzionato avrebbe scardinato tutto il nostro schieramento. Alle 21, il saliente di Deir Alinda fu attaccato da forti reparti di fanteria (della 69^ Brigata e 50^ Divisione fanteria), da un reparto francese e dai carri della 4^ Brigata corazzata e della 7^ Divisione corazzata, che investirono il IV battaglione, in tutto circa 300 parà appoggiati solo da 7 pezzi da 47/32 e 6 mortai da 81. Mentre la 11^ compagnia, disposta centralmente, veniva quasi sommersa, pur lottando strenuamente, nel settore della 12^ gli attaccanti (due battaglioni dei Green Howards ed una compagnia blindo) non fecero nessun passo avanti. Dopo un’intera notte di aspri scontri, solo l’estremità orientale del saliente erano in mano inglese, e la linea di resistenza italiana, non intaccata, fu rinforzata con la 25^ compagnia del IX battaglione paracadutisti.
A metà mattinata del 25, novanta carri del IV Hussars e due battaglioni fanteria attaccarono il costone di Deir el Munassib, una colonna passando decisamente in un varco di mine false dei campi minati. La carica dei carri fu contrastata con tutto quel che si aveva, dalle bombe a mano alle bottiglie incendiarie. Anche il fuoco dei 47, ben presto roventi, dei mortai e dell’artiglieria italiana d’appoggio (il III / I articelere e il I / 21° della Trieste) battè con efficacia i carri inglesi, alcuni dei quali, manovrando freneticamente per ritirarsi, saltarono sulle mine. Le fanterie avversarie, logorate anch’esse, dovettero ritirarsi attestandosi quasi sulle posizioni di partenza, sul terreno erano rimati 22 carri, più tardi incendiati dagli stessi paracadutisti per renderli irrecuperabili. Una pur esile linea di comunicazione con il reggimento paracadutisti contiguo fu ristabilita dopo un deciso contrattacco, effettuato verso sera con le magre forze disponibili.
Intenzionato ad ottenere uno sfondamento, l’avversario tornò ad attaccare più volte nei giorni seguenti, ed i reparti della Folgore ressero decisamente, quasi senza aiuti. La notte del 29, un attacco di reparti francesi contro la 10^ fu respinto ed uguale esito ebbe un nuovo attacco nella notte del 1° novembre, sventato con relativa facilità. Sino alla tarda serata del 2, non ci furono altri scontri, in conseguenza dell’ordine di arretramento la Divisione si sganciò rompendo il contatto senza che dall’altra parte ci si rendesse conto che le nostre linee venivano abbandonate.
In effetti, parlando solo del ruolo della Folgore nella ben più grande battaglia di El Alamein, si trattò di una vittoria tattica che non è stata mai ben riconosciuta, messa in ombra dalla sconfitta strategica dell’intero schieramento italo-tedesco.
 
Le uniformi
La prima studiata apposta per i parà, che prevedeva giubba e pantaloni di nuovo taglio ma sempre in panno grigioverde, fu distribuita dall’aprile 1941. Poco prima dell’estate del 1942 apparve le versione in tela coloniale cachi, in tre taglie, con ben poche differenze. Sulla giubba (Tav. 1 – Part. 1), oltre alle mostrine, al brevetto, ed ai distintivi di grado si portava anche un distintivo non ufficiale, un’aquiletta metallica dorata. Le estremità dei pantaloni erano anche stavolta del tipo che si chiudeva in fondo con fettuccia e poi si rimboccava (2), la camicia diventava quella cachi, portata aperta coi baveri esposti e senza cravatta. Le calzature erano stivaletti da lancio con gambaletto, a 24 occhielli, in vitellone e cuoio nero, con suola e fondo tacco in gomma. Non adatti ad una lunga campagna nel deserto, finiranno per essere portati sino alla letterale consumazione. In genere erano sostituiti da normali scarponcelli da fanteria in cuoio nero modello 39 ma non era raro vedere usati anche i sandali in cuoio marrone rossastro delle truppe coloniali.
Nel maggio 1942 erano comparse anche le mostrine definitive (10.4 x 39 mm), il nuovo tipo vide anche comparire le versioni per i differenti reparti. Il fondo era azzurro, con normali stellette, gladio ed ala in rayon giallo per truppa e sottufficiali (3). I paracadutisti dei reparti d’artiglieria vi sovrapponevano pipe nere con bordo giallo (4), le pipe erano nere con bordo cremisi per il genio e semplicemente rosso amaranto per la sanità (5). Quelle da ufficiale differivano per avere gladio con manico e guardia in filo dorato, lama in filo argentato ed ala in filo dorato (6). L’assieme di fregi e gradi era quello usato sulle uniformi grigioverdi. Il normale brevetto da parà (7) era in rayon giallo o filo dorato (8) su panno grigioverde, ma esisteva anche una versione metallica smaltata (9). I guastatori avevano un loro distintivo (10), non ufficiale, con gladio dal manico e guardia in filo dorato e lama argentata, con granata nera e fiamme rosse, su paracadute in filo dorato, sempre su fondo grigioverde. I distintivi di grado erano quelli normali del periodo, ridotti nella lunghezza e di materiale più comune. Quelli dei graduati erano nastrini in rayon rosso, per entrambe le maniche, nella sequenza scelto (11), caporale (12), caporalmaggiore (13), mentre i sottufficiali avevano nastrini gialli, sempre sulle due maniche e nella sequenza sergente (14) e sergente maggiore (15). I marescialli non avevano gradi sulle maniche, mentre gli ufficiali li avevano sulle manopole, anteriormente, costituiti da nastrini in rayon giallo. L’aspirante aveva un nastrino col centro nero (16), la sequenza proseguiva col sottotenente (17), tenente (18), primo tenente (19), capitano (20), primo capitano (21) e così via. In alcuni casi, il grado era portato sul petto in alto, con un sistema simile a quello di tute e camicie (22). Il brevetto non ufficiale era un’aquiletta metallica dorata (23).
Le camicie coloniali (Tav. 2 – Particolare 1) erano in tela cachi scuro verdastro, prive di tasche e chiuse con due bottoni in frutto marrone, prive di spalline e con cannello posteriore, polsini con due asole ed un bottone. Nel settore di Deir el Munassib almeno una compagnia, la 11^ del IV Battaglione, per un periodo potè vestire con camicie e shorts inglesi, materiale recuperato dall’ingente bottino fatto a Tobruch. Sulle camicie di ogni tipo gli unici distintivi erano i gradi, portati sul petto a sinistra. I copricapi potevano essere la bustina, nella versione in tela di cotone kaki chiaro, oppure un basco in tela, in combattimento ovviamente si usava l’elmetto. Quello dei parà (2), realizzato attorno al 1940 modificando razionalmente il modello 33, aveva soggolo doppio in cuoio grigioverde ed inizialmente un coprinuca in tela grigia o stoffa grigioverde. Dalla fine del 1941, il paranuca scomparve e fu dotato del paranaso in pelle imbottita, sporgente dal bordo. La verniciatura era in grigioverde ed almeno inizialmente fu stampigliato un fregio in nero. Poco dopo, fu adottata la copertina nata per il modello 33, in tela mimetica (3), simile a quella del telo modello 29, a chiazze arrotondate gialle, verde-azzurro, marrone rossiccio e con tonalità di rossiccio chiaro, con due strisce cucite a formare venti asole, utili per fissarvi foglie o rametti. Al fronte, in mancanza della copertina, l’elmetto verrà spesso sporcato di sabbia o riverniciato con colori mimetici di circostanza.
 
L’equipaggiamento
Quello base era, per tutti i gradi, in tela di canapa e comprendeva una cintura con sei portacaricatori, tre per lato, sopra e sei portabombe a mano sotto, cintura retta da uno spallaccio con fibbia. Chi aveva il moschetto 91 poteva avere la normale buffetteria da fanteria (4) o la bandoliera da armi montate (5), entrambe in cuoio grigioverde chiaro. Per il mitra non risultano usati i portacaricatori, mentre per la Breda 30 c’erano due tipi di portaccessori, in cuoio grigioverde (6) portato alla cintura, od il più economico in canapa kaki (7), con tracolla nello stesso materiale e fornimenti in cuoio marrone. La fondina per pistola Beretta 34 era prodotta in almeno tre versioni, quella illustrata (8) era la più comune, portata al cinturone ed in cuoio grigioverde o marrone, agganciabile anche alla bandoliera a tre giberne (9). La borraccia modello 33 da un litro (10 e 11) era interamente foderata di panno grigioverde e provvista di una cinghia in canapa con moschettone e fibbia scorrevole. Il tascapane era in tela di canapa grigia, con lati rinforzati in alto e tre passanti applicati sul retro, chiuso con due strisce di cuoio grigioverde e dotato di tracolla in tela con fibbia (12). In sua parziale sostituzione, o per portare bombe a mano di riserva, si usava a volte il contenitore modello 35 in canapa per maschera antigas (13), dal caratteristico numero della misura della maschera stampato in nero.
 
L’armamento
Assicurato alla cintura, a sinistra, si portava un pugnale, il tipo più usato era quello adottato tra il 1938-1939, robusto e semplice, per gli assaltatori, lungo in totale 33 cm (14). Aveva guardia piatta ed ovale, le guancette del manico in legno e fissate con
tre rivetti, quelli da ufficiale con leggera sagomatura per le dita. Il fodero era metallico, nero ma spesso tinteggiato in grigioverde od ocra, con attacco per fissarlo alla cintura. A fianco delle bombe a mano "normali", quasi tutte di tipo offensivo e simili nelle caratteristiche principali e per il sistema di funzionamento, furono in dotazione non molte bombe controcarro Breda 42, comunque usate almeno dalla 6 a compagnia del X battaglione durante il terzo scontro a Deir el Munassib. Alla fine erano senz’altro pìù diffuse le fidate bottiglie incendiarie, ovvero bottiglie d’acqua minerale con assicurati ai fianchi candelotti a miccia per mezzo di cordicelle. Un uso intenso di esse fu fatto dalla 6 a compagnia del II battaglione e dalla 19^ del VII.
Anche i parà, visto che per i fucili non erano stati fatti passi in avanti, furono armati per la maggior parte col moschetto 91 da cavalleria a baionetta ripiegabile (Tav. 3 – Particolare 1) o col moschetto TS (2), entrambi con attacchi laterali per la cinghia in modo da poterli portare sempre a tracolla se necessario. Il mitra Beretta era un’arma sopra la media, distribuita al 15% degli organici, agli ufficiali ed ai reparti artiglieria e specialisti. La Breda 30 invece non fu mai all’altezza ; il suo serbatoio cartucce era ripiegabile a destra per il trasporto (2) ed il contenitore in legno da 300 colpi era verniciato in grigioverde, con scritte (3). Ovviamente, i nostri parà erano portati ad apprezzare alcune armi avversarie, come il famoso Bren.
 
I figurini e la loro ambientazione
Dopo tanti parà teutonici, da relativamente poco tempo è finalmente comparsa una serie di scatole in resina riproducenti quelli della celeberrima Folgore. Sin dal primo contatto coi figurini della Model Victoria abbiamo avuto con essi un buon feeling, perché finalmente ci si trova con dei prodotti italiani che non sfigurano rispetto alle marche estere, anche le più titolate. Lo stile c’è, il modellato e l’attendibilità uniformologica, il livello di definizione superiore alla media anche nei volti e per finire la facilità d’assemblaggio concorrono a formare delle repliche molto realistiche anche nei dettagli. Del resto oggi come oggi non c’è un’alternativa accettabile, in plastica, alla resina ed anche i maggiori costi saranno ben equilibrati sull’altro piatto della bilancia.
Per una scenetta ambientata poco prima di un ennesimo scontro con blindati avversari, è bastato avere la confezione che ne propone due, oltre a recuperare un figurino dalla scatola del cannone controcarro da 47/32 della stessa marca. L’ultimo pezzo è un outsider perché proviene invece da un altro figurino, della tedesca Hecker e Goros. Naturalmente, la prima cosa da fare è stata consultare l’ampia documentazione sul terreno e sulle uniformi, leggendo anche qualche libro generico sull’argomento, in modo da entrare meglio in quel particolare ‘spazio-tempo’ con delle idee più chiare. Dopo aver preso qualche appunto, l’aspetto della scenetta ci verrà già in mente, senza forzature. Per prima cosa c’è da procurarsi una cornice per quadri, sostituendo il vetro con una base di truciolato, nel quale vanno inseriti dei chiodini che supportino dei blocchetti di legno. Essi faranno da base di partenza per riprodurre un minimo rilievo, grazie a del gesso liquido e pietrisco tritato, con sassolini di varie dimensioni. E’ una delle fasi che preferiamo, anche se è lunga ci si diverte come ai bei tempi, quando c’è ancora la fantasia unita all’esperienza basterà veramente poco per movimentare il terreno, come un fusto di carburante inserito ed un po’ di sacchetti di sabbia qua e là. Anche in questa scala, per ambientare i figurini non ci vuole molto e non c’è bisogno di andare sul complicato o nell’apocalittico.
Prendiamo i primi due figurini Model Victoria : al primo, quello che indica, abbiamo sostituito la testa con una della Hornet. Dopo aver cambiato le braccia con quelle di un altro figurino della stessa marca, una stuccatura generale ed una passata di fresa su trapanino preparano il soggetto per la pittura. Al secondo figurino è stata cambiata la testa con altra Model Victoria, mentre la posa e le braccia sono state leggermente modificate. Su entrambi, il fazzoletto che proteggeva il viso dalla sabbia è stato realizzato con del semplice lamierino di piombo. Anche il terzo, quello che sta preparando le bombe molotov per intenderci, ha la testa e le braccia sostituite. Per il quarto, quello in piedi vicino ai fusti di carburante, c’è voluto più lavoro. Gli interventi si sono articolati nel cambio della testa con una Model Victoria e nel cambio della posa delle braccia, nella fresatura delle gambe per togliere gli stivali e sostituirli poi con scarponcini e calzettoni. Inoltre, essendo il figurino in metallo bianco, si è dovuto ripassarne di più le superfici con la fresa perché la fase della verniciatura venisse meglio.
La colorazione dei figurini è in questo caso abbastanza facile, la base è l' Humbrol 81, con lumeggiature ottenute sia mescolando allo smalto un po’ di bianco – tempera extra-fine – che applicando poi del bianco ad acquerello, molto efficace. Il consueto lavaggio con colori ad olio è stato fatto con del Bruno di Seppia e Bruno Van Dyck al 50 %, completando in alcuni punti con del nero. C’è da mettere più cura per il figurino in calzoni corti, per la maggior area di carne nuda visibile, in ogni caso per tutti i figurini ricordiamoci che in genere i pantaloni si consumano di più rispetto al resto dell’uniforme, per il resto non abbiamo usato particolari ‘trucchi’ – del resto pubblicati innumerevoli volte su riviste e su siti Internet – ma solo colori di buona marca e buoni pennelli. L’elmetto nudo può essere verniciato con lo Humbrol 75 leggermente schiarito. Il telino mimetico va realizzato con uno smalto più chiaro di base e chiazze ad acrilico, lumeggiando poi con acquerelli. Vanno invece curate di più le bombe a mano, le buffetterie e le armi portatili, come del resto le casse munizioni, le bottiglie Molotov pronte, i fusti di carburante arrugginiti. Una volta che ogni elemento è stato incollato alla base, pareggeremo le superfici facendo scomparire anche gli innesti dei figurini. Anche per il terreno si può usare una tecnica mista, con fondo a smalto e lumeggiature con tempere e colori ad olio.
 
 
- Si ringraziano gli amici Simone Pedrazzi e Giorgio Breviglieri, per il materiale originale prestato . Sullo stesso argomento abbiamo realizzato un articolo più sostanzioso sul Notiziario CMPR n.4/2002.
 
Per saperne di più, rimandiamo ai seguenti libri :
El Alamein 1933-1962 – Longanesi 1966
I ragazzi della Folgore – Longanesi
La Folgore nella battaglia di El Alamein – Auriga 1983
I paracadutisti italiani – Stem MUCCHI – 1972
Uniformi e distintivi dell’Esercito Italiano 1933-1945 – Alberelli 1981
I paracadutisti italiani 1937 – 1945 – DE BELLO – E.M.I. 1989
L’elmetto italiano 1915 – 1971 – Intergest 1975
Elmetti di tutto il mondo – Alberelli 1983
Le armi della fanteria italiana nella 2 a Guerra Mondiale – Albertelli 1978

 

                   

               

 

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