Il  carro  L 6/40  in  Russia

 

di Andrea e Antonio TALLILLO

 

     English text   

 

Diversamente da quanto annunciato nella premessa di questa cartella, che è stata dedicata ai migliori articoli apparsi sul nostro Notiziario, quello che vi proponiamo è un'anteprima, si tratta di un articolo che in un prossimo futuro farà la sua comparsa sulle pagine del Notiziario, ma che nelle intenzioni degli Autori vuole essere un omaggio al nostro sito Internet, inoltre novità assoluta, questo articolo viene proposto anche in lingua inglese, pertanto è con gioia e soddisfazione  ancora  maggiori che condividiamo questo "regalo". Grazie Amici.  (ndr)

                                                                             

E’ vero che Internet ed in genere il pc possono essere un validissimo aiuto al modellista, e che oggi (non come ieri !) è possibile essere in contatto con modellisti od appassionati di mezzi militari lontani mille miglia (….. in questo caso anche di più). Ma il tutto non funzionerebbe se non ci fosse dietro la buona, sana vecchia concezione dell’unione che fa la forza. E’ anche per questo che unendo le varie esperienze e capacità si ottengono degli articoli che non sarà facile bissare, se non altro perché di occasioni buone non ce ne sono poi molte.

Perdonateci, ma vale la pena di parlare anche un po’ del prologo di questo lavoretto e delle motivazioni che ci hanno indotto ad imbarcarci in questa “ultima follia”. Già l’ L6 / 40 non è un carro che abbia fatto la storia, e di quello esposto in Russia, a Kubinka, non si sapeva nulla sino al 1992 circa. Due anni dopo, sull’ormai preistorico Notiziario CMPR 2/94, ci è stato possibile far vedere le prime foto – a memoria di modellista – dell’esemplare in questione. Allora, appena caduto il Muro, questo Museo, che ha pochi rivali al mondo per quanto riguarda la varietà di soggetti esposti, restava però molto poco agibile ed Internet non aveva la diffusione ormai raggiunta. Saperne di più era virtualmente impossibile, mancava inoltre, anche una decente trasposizione in scala.

Poco più di dieci anni dopo, il carro è ancora un soggetto “di nicchia” anche se sono apparse meritorie opere (a cura degli amici Daniele Guglielmi e Stefano Di Giusto)  che hanno ben descritto la movimentata vita operativa degli L6  “arruolati per forza” nei reparti corazzati della Wehrmacht. L’ L 6/40 di Kubinka è stato riverniciato ed è molto più agibile, perlomeno per via telematica, ma tutto non sarebbe nato se un appassionato modellista estone (Tallinn), Mr. Urmas Plinkner , ottenute le foto da un amico altrettanto appassionato di Mosca, Mr. Boris Kharlamov, non le avesse fatte pervenire al prezioso amico Dr. Stefano Sogni che prontamente e con grande disponibilità le ha messe a disposizione della Redazione del nostro sito Internet (la Sezione di Bari).

A questo punto, non restava che unire questa preziosissima documentazione alla recensione del kit in resina Model Victoria in 1/35, apparso da tempo sul mercato ma non molto trattato a fondo, idem per il bel kit in resina, ma in scala 1/72, prodotto da Il Principe Nero, quasi dimenticato dai modellisti di questa scala nonostante gli indubbi pregi, che ci è stato fatto conoscere da  Rodolfo Ciuffoletti, uno dei più valenti disegnatori tecnici italiani del periodo, il tutto per avere un quadro più che esauriente e senz’altro trattato come una monografia e anche per rispondere alla diuturna richiesta di informazioni sui carri italiani che finalmente arriva anche dall’estero. E non è finita, già che c’eravamo abbiamo “tritato” il tutto in salsa inglese e così i nostri sforzi, si spera, saranno apprezzabili anche dai numerosi visitatori  – europei e non – del Sito CMPR. Inoltre, anche se è prematuro scriverlo, abbiamo in serbo un’altra gradita sorpresa circa lo L6 / 40, ma in scala più grande…

Il piacere è tutto nostro, nel poter ancora scribacchiare di carri alla  tenera età di quasi cinquant’anni.

 

Un po’ di storia del carro in questione 

Alla fine di una lunga serie di studi sui carri leggeri con torretta girevole, nel 1938 furono messi a punto due prototipi di un carro leggero che avrebbe dovuto rimpiazzare gli ormai vecchi L3. Si era intanto sviluppato a fondo un mezzo di peso limitato, con l’intenzione di equipaggiare con esso unità motorizzate e di Cavalleria, cercando anche acquirenti ‘naturali’ tra gli organi tecnici dei molti eserciti che avevano già in carico gli L3/33 ed L3/35.  Dopo alcune severe prove di valutazione sul prototipo M6 appena citato, fu estrapolato nell’estate del 1939 quello definitivo, presentato ufficialmente di lì a poco. L’armamento consisteva ora in una Breda da 20 mm., unica arma nazionale moderna adatta ad una torretta di contenute dimensioni, si trattava di una versione del pezzo mod. 35 contraereo già in servizio, già usata in Spagna e che aveva precedenti di questo tipo quando fu montata, con un’installazione quasi artigianale, nella torretta modificata di qualche Panzer I Ausf. A.

Il nuovo carro leggero, che bene o male sarà anche l’unico del Regio Esercito, fu omologato poco dopo la metà del marzo 1940, ricevendo la sigla L6/40 secondo la formula dell’epoca. Alla Fiat il Ministero della Guerra passò una commessa iniziale di quasi 600 esemplari nella primavera del 1941, presto ridotta a 283 esemplari in favore della versione semovente armata col cannone da 47/32, che fu il principale mezzo derivato e che era stato messo a punto in contemporanea con l’inizio della produzione. In seguito però si ebbe una nuova commessa per 161 esemplari, che porterebbe ad un totale di 444 carri, totale che verrà comunque superato. Comunque l’avvio alla produzione in massa – ma di massa è forse arduo parlare – ebbe notevoli ritardi, dovuti principalmente alla mancata consegna in tempo di apparati radio ed apparecchiature ottiche in quantità sufficienti. Era stata data la priorità alle blindo AB 41, che in effetti usavano una torretta simile ed armata nello stesso modo, questo si tradusse anche in sensibili ritardi nelle consegne delle Breda 20 mm. del tipo modificato per veicoli. Le prime consegne si ebbero attorno alla fine del maggio 1941, ad un discreto ritmo (50-60 mezzi al mese) raggiungendo a fine ottobre i 243 esemplari. La prima parte del 1942 vide decrescere il ritmo delle consegne a 30 al mese, sino a quel periodo ne erano stati realizzati 382. Agli inizi del giugno 1943, si era arrivati a più di 460 esemplari, nonostante gli interventi per sospenderne la produzione in favore del semovente da 47/32 sul medesimo scafo. Nel frattempo, unica nazione estera ad interessarsi, ma senza sviluppi concreti, allo L6/40 era stato il Giappone.

 

L’impiego operativo in Russia 

Nonostante tutto, l’utilizzo dell’ L6 finirà per essere abbastanza lungo ed anche quanto mai vario. Il battesimo del fuoco lo ebbe tra la fine del 1941 e la primavera del 1942 ed in pochissimi esemplari, solo 4. Poi, una buona parte verrà usata sul fronte africano, ma senza apprezzabili risultati, fu importante invece l’impiego di ogni giorno in Patria, nelle scuole e nei reparti operativi, che prepararono numerosi equipaggi alla guerra meccanizzata anche se il materiale era quello che era. Molto tempo dopo, gli L6/40 avranno una seconda vita quando verranno impiegati, anche se in compiti di seconda linea ed antiguerriglia, da reparti tedeschi sino al 1945, ma nel 1942 ebbero la ventura di comparire anche sul fronte orientale, cosa che non era riuscito a fare neanche l’ M13…

Per delle circostanze non ancora ben chiarite, infatti, l’ L6 fu il corazzato italiano più diffuso su quel lontano fronte, anche se ormai dai carri leggeri erano auspicabili ben altre prestazioni ed un armamento almeno di calibro 37. I carri utilizzati erano quelli del LXVII Battaglione Bersaglieri Motocorazzato, che arrivò in zona d’operazioni verso la metà di luglio 1942. Per il lungo spostamento, il piccolo ingombro frontale dei mezzi aveva permesso il loro trasporto anche sul pianale di autocarri di medie dimensioni come il Fiat 666.

Costituito a Siena verso la fine del febbraio 1942 coi mezzi del Battaglione gemello LXVIII e personale del 5° e 18° Reggimento Bersaglieri, il Reparto era composto dal Plotone Comando e dalla 1^ e 2^  Compagnia, di 5 plotoni ciascuna, ognuno con 5 carri, per un totale di 58 mezzi. Alcuni di essi erano della versione Centro Radio, assegnati in ragione di un paio al Plotone Comando. Si trattava di carri di serie dotati di una seconda radio ricetrasmittente (RF 2 CA) in aggiunta alla RF 1 CA di normale dotazione. La radio aveva portata di 20 km in telegrafia e 15 in fonia a carro fermo, ma per montarla si sacrificava parte della dotazione di munizioni da 20 mm di bordo. La portata era comunque insufficiente nelle reali condizioni d’impiego e necessitava di frequenti cambi di valvole. Esternamente, la versione era riconoscibile per la seconda antenna, posta sul retro della sovrastruttura.

Assegnato alla 3^ Divisione Celere PADA (Principe Amedeo Duca D’Aosta), sue aliquote, 2 plotoni con 9 carri in tutto, appoggiarono a fine agosto reparti del 5° Reggimento Alpini (i Battaglioni Val Chiese e Vestone) contribuendo a bloccare un attacco sovietico a Jagodniy.  I risultati furono discreti , ma già pochi giorni dopo, una compagnia perse 12 carri sui 13 impiegati in un attacco, fronteggiati da semplici fuciloni controcarro. A quanto pare, non ci furono altri scontri degni di rilievo in seguito e meno che mai contro corazzati avversari.

A novembre, il reparto verrà ritirato dalla linea per riorganizzarsi per quanto possibile ma l’11 dicembre, assieme ai semoventi sullo stesso scafo del XIII° Gruppo Cavalleria Alessandria verranno fatti tornare in prima linea, al centro del lunghissimo settore tenuto dall’ARMIR , in un tratto rimasto scoperto e con  le Divisioni italiane di Fanteria ‘Cosseria’ e ‘Ravenna’ già sotto pressione. I carri efficienti erano ben pochi, meno di una ventina, a causa della mancanza di rifornimenti e pezzi di ricambio, ed appoggiati solo da 22 cannoni tedeschi. Molti di essi andarono distrutti nei combattimenti a Gadjucja e Foronovo. I pochissimi mezzi superstiti confluirono in una colonna in ritirata, quella che arrivò alle linee arretrate il 28 dicembre a Skassirkaja, ma nessun L6 riuscì a tornare in Patria.

E’ arduo, ovviamente, dare un sereno giudizio sull’impiego dell’ L6 sul fronte orientale, di certo non diede un fattivo contributo, anche se all’epoca della sua adozione era più o meno assimilabile al Panzer II. Piccolo ma con una sagoma troppo visibile anche a distanza, era inferiore ai mezzi avversari di pari classe nella protezione e nella mobilità e restava poco adatto all’esplorazione. Sia per il trasporto che per il recupero in caso di guasti non si ebbero mezzi adeguati ma solo ripieghi e si sa, anche sul fronte orientale valeva la regola “carro fermo, carro morto”.  Di contro i reparti diedero più volte, come in Africa, prove d’autentico valore, anche se le possibilità di portare  a casa la pelle erano scarse.

I sovietici ne catturarono più d’uno, in vari stadi d’efficienza e completezza, sin dalla tarda estate del 1942, ma non deve aver impressionato i tecnici sovietici, infatti solo uno è stato conservato sino ai giorni nostri, ed è ancora in buono stato come si può giudicare dalle fotografie di questo articolo.

 

Mimetizzazione e contrassegni nel LXVII Battaglione 

Per una volta, sulla colorazione non vi possono essere dubbi od interpretazioni troppo personali, gli L6 dei Bersaglieri di questo reparto erano stati consegnati nella livrea monocromatica di allora, e cioè il  “khaki sahariano”, in pratica un giallo sabbia simile allo FS 20260, ed arrivarono tranquillamente al fronte in questo colore. Già prima della fine del periodo estivo, gli equipaggi mascherarono la poco idonea tinta con abbondanti applicazioni di fango alle sovrastrutture e torrette, non risparmiando i contrassegni di compagnia/plotone ed a volte anche la targa anteriore. Alcune fotografie scattate ad alcuni L6, mentre era indubbiamente pieno inverno, mostrano però un ritorno – naturale ? – al colore di prima, ben visibile sotto le incrostature di ghiaccio e neve.

Il Battaglione aveva contrassegni di compagnia/plotone più grandi del comune 20 x 12 cm che era regolamentare e si discostavano dal regolamento anche per : 

-         la posizione, essendo dipinti ai lati torretta e sul retro ma anche sullo scafo anteriore,

-         la presenza di contrassegni anche per il 4° e 5° plotone, che implicava anche una barra trasversale, caso più unico che raro,

-         la posizione del numero individuale (arabo, 10 cm.) , sempre in rosso (anziché bianco o nel colore della compagnia), davanti ai rettangoli laterali invece che sopra. 

Inoltre, sul carro del Comandante, il numero romano del Battaglione era in nero (10 cm) invece che Bianco, portato anteriormente e sui lati della torretta.

A parte queste piccole differenze – che poi sono quelle più eccitanti per il modellista – il resto era abbastanza nella norma, come i rettangoli neri per il Plotone Comando, mentre alcuni dettagli  restavano peculiari agli scafi L6 come per esempio le targhe. Esse erano divise anteriormente a causa della presenza dell’occhione di traino, con sigla e granata rossi e numero nero dipinti in due riprese. Sono documentati numeri di targa più alti sui mezzi del Comando di Battaglione. Sulla piastra inclinata di prua era fissato il distintivo metallico d’appartenenza al Regio Esercito, del diametro di 3.6 mm in scala 1/35.

Il disco bianco per l’identificazione aerea era presente sulla livrea originale ma fu probabilmente anch’esso nascosto col fango come gli altri contrassegni, anche se in maniera minore. Altra peculiarità la presenza di nomi di caduti o fatti d’arme legate alla storia del Corpo, verniciati in nero all’interno del portello della sovrastruttura. Il carro del tenente Nardi, comandante della 2^ Compagnia, per una maggiore identificazione e forse durante un’azione congiunta con truppe tedesche, ebbe fissati all’antenna un fez da bersagliere, un piccolo tricolore ed una bandierina usata nei reparti genio tedeschi, triangolare, gialla con teschio e tibie neri.

 

Situazione modellistica dell' L6 in scala 1/35 e in scala 1/72 

Si potrebbe parafrasare con “dalle stalle alle stelle” perché, dopo anni di oblio, tentativi di autocostruzione (in questo fu pioniere l’amico Giorgio Breviglieri ancora negli anni ‘70), l’apparizione del primo kit in metallo bianco della CRI.EL, di cattiva qualità e nitidezza e con pezzi a volte mancanti o non simmetrici – ma probabilmente allora non si poteva fare molto di più – ed il successivo, costoso ma abbastanza realistico, kit in resina sempre della CRI.EL non c’erano più notizie di probabili altre uscite, eccettuato il favoleggiato kit FAIRY giapponese del 1986, una specie di araba fenice che quasi nessuno può aver visto, ma che data la qualità della resina biancastro-trasparente di altri kits della stessa ditta, avrebbe lasciato molto a desiderare…

Come per altri mezzi corazzati del Regio Esercito dell’epoca, le uniche repliche disponibili non sono kits a grande produzione in plastica. Ormai è poco probabile, del resto, che lo L6/40 venga sfornato da una qualsiasi grande Ditta, anche se non  i sa mai. Resta il fatto che,  per esempio, l’uscita di un kit in plastica di L3 è stata data, ormai da molto tempo, come imminente ma non s’è visto neanche l’ombra di un cingolo.

Realisticamente, visto che è uscito da pochi anni un bellissimo kit in resina della Model  Victoria, è meglio aprofittarne !

La lista per le “piccole scale”, tolte le realizzazioni veramente obsolete come la preistorica realizzazione in resina della Ostmodels si è ristretta per molto tempo ai soli soggetti della AP MODELS – il carro di serie e la rara versione lanciafiamme – sostanzialmente buoni ma messi in ombra da una new entry. Più recentemente, il negozio Il Cavaliere Nero di Ponte San Giovanni (PG) ha commercializzato una ottima replica del carro in resina, opera del noto stampista Gabriele Zenoni. Anche in scala piccola una realizzazione in plastica è auspicabile, magari ci penserà la DOC MODELS, visto il livello dei kits già dedicati al CV 33 e 35 !

 

Il kit in scala 1/35 "MODEL  VICTORIA" 

E’ un piccolo capolavoro, senza esagerare ! Basti pensare che la nitidezza e precisione delle parti è tale che anche chi non ha moltissima dimestichezza con la resina può potare avanti il montaggio come se stesse maneggiando un banale kit in plastica iniettata. Anche i cingoli, che in molti soggetti in resina restano il tallone d’Achille, sono praticissimi da mettere assieme, essendo del tipo già apprezzato per l’ M13/40 della stessa Ditta : in resina, sì, ma a maglie singole, assemblabili con il semplice incastro. Con un minimo di documentazione in mano, si apprezza che le misure e soprattutto le proporzioni sono rispettate bene, sono stati riprodotti in scala anche particolari minuti, nel loro giusto spessore. La realizzazione, coi vari pezzi che si staccano facilmente dalle colate, procede rapidamente visto che sono necessari ben pochi lavori d’aggiustamento e gli incastri sono molto ben studiati.

E’ veramente un voltar pagina, se pensiamo che una volta per completare un kit in resina di questo tipo avrebbe voluto dire, quasi sicuramente, penare molto anche solo nel rifare i bulloni “scoppiati” per via dell’aria, od usare, in maniera più o meno cospicua, altri modelli, per sopperire a cali di realismo talvolta anche notevoli. Un altro punto di forza sono lo scafo ed il cofano motore, così ben fatti che fanno pregustare il set per gli interni già uscito a cura della stessa Ditta. Anche altri particolari che, nella media della vecchia generazione dei kits in resina, andavano trascurati  sono invece degno completamento del carro, come il martinetto e gli attrezzi, i fari e la marmitta nonché gli scatolotti di stivaggio. Anche i periscopi ed il supporto dell’antenna meritano un plauso.

 I lavori d’intervento possibili stavolta si contano sulle dita di una mano, tuttavia è meglio farli perché anche piccole modifiche ci tengono allenati a volere i nostri modelli sempre più realistici. Si può incidere il cielo della sovrastruttura per evidenziare l’aspetto delle piastre per poi, con un punzone autocostruito, applicare il segno della rivettatura ai cantonali interni. L’unione della sovrastruttura stessa e del cofano motore allo scafo richiedono solo un filo di stucco, il coprimarmitta va appena assottigliato ed il badile va migliorato leggermente. Si possono rifare con del fil di ferro i montatoi laterali per l’equipaggio, come alcune delle maniglie con del filo di rame da 0.5 mm. Più genericamente, ma è una “fissa” personale, si può passare con una fresetta sulle superfici, per togliere quella levigatezza che le piastre di corazza non hanno.

Assemblare la cingolatura richiede più impegno della media, occorre una certa attenzione anche se in breve ci si impratichisce della corretta sequenza arrivando a montarli abbastanza facilmente.

Per le decals, non fornite nella confezione Model Victoria, ci hanno già pensato due dei più dinamici produttori, ovvero la ‘storica’ CRI.EL e la più ‘verde’ ma tenace AWD. Quest’ultima propone degli esemplari veramente interessanti per vari reparti di cavalleria, entrambi comunque presentano anche i carri del Battaglione Bersaglieri che li usò in Russia. Un disco bianco per l’identificazione aerea ad hoc lo si può recuperare dalla banca decals, applicandolo in parte sino al portello e dipingendo la porzione restante nella zona più ostica per una decal ovvero la zona cardini. Attenzione, comunque, alcune particolarità dei mezzi di questo reparto non sempre sono rintracciabili o ben riprodotte nei fogli decals disponibili.

Per concludere, a nostro parere, sono kits come questi che fanno ‘crescere’ il modellista, non l’ennesimo Tigre…., è vero, si tratta di un mezzo forse irrilevante nel contesto della guerra di carri sul fronte orientale, ma resta il piacere di ricordare, mettendolo in collezione, mezzi, uomini e reparti altrimenti dimenticati dalla gran massa dei modellisti.

 

Il kit in scala 1/72  “Il PRINCIPE  NERO”

Si tratta di un prodotto artigianale in resina, di buona qualità, lavorabile e con pochissima bolle d’aria, in un sobrio color sabbia. Molto buona l’idea di aver realizzato pezzi premontati, per non farne un kit riservato solo ai più esperti, visto che la resina nelle scale piccole per certuni è ancora un tabù. Infatti il kit è composto da pochi pezzi, come lo scafo principale, completo di parafanghi e con già inserita la piastra inclinata anteriore, treno di rotolamento preparato già per sottoinsiemi, attrezzi , cingolatura preparata in sezioni già piegate e curvate nel caso delle ruote motrici e di rinvio, torretta già predisposta con portello superiore a parte. Lo stampo è molto accurato vista la scala, che denota un amore per i dettagli non comune; con martinetto di sollevamento, fari, piccone e maglie di cingolo di scorta forniti a parte. Le dimensioni in generale quadrano e diversi minuti particolari si apprezzano con una lente di ingrandimento, complimenti !

Con queste premesse il montaggio è abbastanza rapido, anche se ci sono da tenere a mente le solite accortezze di quando si lavora la resina, in questo caso usare una seghetta circolare montata su trapano per staccare i pezzi più minuti dalle grosse sezioni di stampo e l’aiuto di un bisturi per eliminare i residui dello stesso. Attenzione, durante tutte le fasi della costruzione, a tenere pulito il tavolo di lavoro da eventuale pulviscolo di resina, che non fa proprio bene se respirato…

Seguendo le istruzioni, del classico tipo “semplice ma chiaro”, non dovremmo incontrare particolari difficoltà, solo al treno di rotolamento va dedicato un pò di tempo in più in quanto vi sono presenti zone più delicate, dove la resina va lavorata e smerigliata con fresette montate su trapanino. L’uso dello stucco è limitato solo alla giunzione delle paratia posteriore ed al riempimento di qualche piccolo ritiro o bolla d’aria. Con del filo di rame di opportuno diametro rifacciamo il gancio anteriore di traino, incollandolo con del cianoacrilato, poi ricostruiamo i quattro ganci a corna di bue in rame più spesso, due anteriori e gli altri due posteriori. Mentre il tutto si asciuga, lavoreremo di fresetta liberando da un po’ di resina i fori d’ispezione dei parafanghi anteriori, già presenti nel kit, tornando al filo di rame per rifare il maniglione del portello laterale ed i montatoi presenti sui parafanghi. Sempre con del filo di rame prepariamo anche le scalette di opportune dimensioni, basandoci sui disegni in scala….trovando la giusta dimensione non è tanto difficile rifarle. Teniamole da parte data la loro fragilità.

Per inserire la parte posteriore realisticamente, dovremo usare un pò di stucco per raccordare il tutto. L’unica vera difficoltà è data dall’applicazione dei cingoli, che sono belli e si piegano bene ma rimangono con i denti troppo grandi e faticano ad entrare nella ruota posteriore. Dopo una discreta serie di prove a secco e l’assottigliamento col cutter delle parti interne della ruota posteriore, i cingoli sono entrati a meraviglia. E’ preferibile, data la scala, di incollare tutto senza avere la tentazione di lasciare mobile qualcosa. La stessa torretta avrebbe il portello del capocarro stampato internamente, ma inserirne uno che sia decente è ancora quasi impossibile, se non trasformando qualche pezzo simile ricavato da altri modelli. Concluderemo con i particolari più piccoli come i fari, il rullo di scorta con il suo supporto, la marmitta con il suo innesto (da rifare) e copertura assottigliata, l’armamento è già fornito sotto forma di spillo, da accorciarsi un pò.

Prima dell’ultima fase di montaggio, passiamo con una fresa su tutte le superfici più estese del carro, eliminando qualche imperfezione e preparandole meglio alla verniciatura. Quest’ultima è stata realizzata dopo una sommaria pulizia con trielina, stendendo prima una mano di grigio a smalto molto diluito e poi, dopo due giorni di asciugatura, una mano di giallo sabbia GUNZE sul kit e sulle scalette dei montatoi, il colore si è dimostrato molto adatto, anche per la successiva canonica fase d’invecchiamento. Per le decals, non essendo riusciti ad averne di decenti in tempo, abbiamo ripiegato su decals di recupero nella stessa scala, non è il massimo ma d’altronde l’aspetto del carro, dopo i successivi trattamenti, è così “sporco” che alcune neanche si notano.

Ma ora procediamo all’invecchiamento, prima con un lavaggio molto delicato di Nero e Bruno Van Dyke ad olio, diluito con acquaragia sintetica – quella per smacchiare – al 90 %. I cingoli vanno dipinti con una miscela di metallo e marrone -  a smalto – i rulli del treno di rotolamento con un panzergrau non troppo scuro. Se la patina fosse ancora troppo poca, dopo qualche giorno si può applicare un secondo lavaggio sul genere del primo, magari dove il fango era stato applicato di più, vedrete comunque che un lavaggio sarà sufficiente per non trasformare il modello in un “blob” semovente. Per avere un’idea di come stendere il fango in scala, un piccolo trucchetto è reperire la tavola centrale della vecchissima opera ‘Storia dei mezzi Corazzati’ della Fabbri e ridurla nella giusta scala, con qualche verifica alle fotografie disponibili, un pennello 000 e mano ferma, il tutto dovrebbe venire pure bene, a patto di fare le cose con calma. Se ci accorgessimo di aver steso delle pennellate troppo grandi potremo con un pennellino 000 intinto nell’acquaragia ridurne le dimensioni, ottenendo contemporaneamente un effetto più realistico.  

Con una giusta tonalità di marrone/rossiccio, ad acquerello, va dipinta la marmitta. Dopo qualche giorno, iniziamo a sporcare il treno di rotolamento ed i cingoli con la stessa miscela usata per il carro, ma un po’ più scura per riprodurre il fango più fresco.

Per la basetta, non ci sono stati grandi problemi, è bastato un pezzo di truciolato sagomato a rombo come supporto, sul quale è stata stesa una sottile “foglia” di Das bianco; premendo leggermente il carro sullo strato fresco si ricava il suo alloggiamento, senza che si vedano poi dislivelli tra kit e terreno, sempre antipatici ! E’ ovvio che poi il carro va incollato con della colla cianoacrilica, pochi minuti dopo si può preparare e stendere una miscela di sabbia, vinavil, color marrone ad acquerello e pasta per ferrmodellismo Hydrozell. Ormai ci siamo, dopo due giornate si passa a lumeggiare il terreno così ottenuto sempre con acquerelli. Si può ben dire che la soddisfazione può essere grande anche se non siamo cultori delle scale mignon, è comunque stato cibo per la mente.     

 

Le uniformi  del reparto 

Avendo davanti le fotografie pubblicate sinora, è facile accorgersi che le tenute più diffuse dei Bersaglieri carristi in Russia vertevano attorno ai due classici indumenti :  tuta e giaccone in pelle, portati con l’altrettanto classico casco da carrista, ovviamente munito del piumetto. Le tute appartenevano nella stragrande maggioranza dei casi al tipo in uso ancora prima del 1941, ovvero la combinazione tela rasata turchina. Esse erano di robusta tela blu, monopezzo con bottoniera aperta, con il colletto chiuso a destra con un bottone, due tasche esterne sul petto e due interne a taglio sui fianchi. Alla vita era presente un cinturino chiudibile con due bottoni, assicurato sul retro con due cuciture e scorrente in due passanti. Alle estremità inferiori ed alle maniche, poco sopra agli orli erano fissate delle martingale abbottonabili, per meglio stringerle. Tutti i bottoni, compresi quelli di tasche e cinturino, erano in osso annerito. Sulle tute si portavano stellette di stoffa al colletto ed i gradi : galloni per i sottufficiali e graduati, galloncini per marescialli, non fu raro vederli sulle maniche. Gli ufficiali il grado, con o senza galloncino dorato, lo portavano con sottofondo grigioverde, sul petto a sinistra.

L’altro capo tipico dei carristi, indossato sopra l’uniforme di servizio e sopra la tuta – se era portata solo quella – era il giaccone a  trequarti, di pelle di montone nera spessa 1 mm, utile sia per le intemperie che per gli eventuali incendi a bordo, adottato dal 1936. Esso era di taglio ampio e dritto, doppiopetto e chiuso con due file di 3 – più raramente 4 - grandi bottoni in legno verniciato di nero. Le tasche erano a taglio, verticali, sui fianchi o del tipo ad aletta, orizzontali più in basso, mentre il  bavero era portato aperto e rovesciato o chiuso con una martingala di pelle, la cintura era in pelle nera, con fibbia rettangolare doppia in metallo ossidato, che scorreva in due passanti. Le maniche avevano in fondo una linguetta a punta, fissabile ad un bottone, per poter essere strette. Sui giacconi era prevista l’applicazione delle stellette al bavero ma essa non fu universale,  solo gli ufficiali portavano i gradi, nella versione in rayon giallo, ridotti in larghezza a 5 cm, cuciti ai paramani.

La truppa portava, come segno di distinzione, i pratici gambali per autieri e bersaglieri, in pelle nera, chiusi da cinghie allacciate esternamente in alto, e scarponcini in cuoio annerito. Sottufficiali ed ufficiali portavano stivali in cuoio naturale od annerito, con la tuta si portavano indistintamente da parte di tutti i gradi i semplici e pratici scarponcini d’ordinanza, .

All’interno dei mezzi e spesso anche fuori, si portava un casco protettivo, adottato già 10 anni prima, in pelle nera e dal tipico bordo rinforzato a mò di ciambella. Gli accessori erano un coprinuca ed il sottogola, che fungeva anche da paraorecchie, entrambi in pelle nera. Il paraorecchie a sinistra aveva la chiusura, a destra alcuni fori per facilitare l’uso della radio.

Sulla tuta o sul giaccone si indossava l’apposita bandoliera in cuoio grigioverde, a tre tasche, per la pistola Beretta 34 cal. 9, la fondina per pistola era anch’essa in cuoio grigioverde, agganciata ad una fibbia metallica. Era in uso anche quella per armi montate, a tre tasche e per il resto molto simile a quella precedente. Sottufficiali ed ufficiali avevano il tipo di cinturone ‘Sam Browne’ in cuoio naturale, con spallaccio e fondina nello stesso materiale.

Le truppe corazzate e motorizzate usavano occhialoni con armatura metallica, guarnizioni in gomma rossastra, lenti celluloide (neutre od ambra scuro) intercambiabili, tenuti attorno al casco con un nastro elastico color marrone.   

 

BIBLIOGRAFIA 

-         Carri armati leggeri n 2/III – Edizioni Bizzarri 1974
-         Carri armati ed autoblinde del Regio Esercito 1918-1943 – Intergest
-         La meccanizzazione dell’Esercito fino al 1943 – Ufficio Storico SME 1989
-         Notiziario CMPR n. 2-94
-         Ground Power 15 – Italian fighting vehicles of WWII – Delta PUblihsing 1995
-         Panzerfahrzeuge und Panzerin-heiten der Ordnungspolizei 1936-1945 – Podzun Pallas Verlag 1999
-         I reparti Panzer nell’Operation Adriatisches Kustenland (OZAK) e le Panzer- Sicherungs-Kompanien in Italia – Edizioni della Laguna 2002
      -    Gli autoveicoli da combattimento dell’esercito italiano – Ufficio Storico SME 2002
-         Italian Military Vehicles of WWII – Galileo Publishing 2003
-         Notiziario GMT – Gruppo Modellistico Trentino – 3/04 e 1/05                                                                                               

 RINGRAZIAMENTI

Questo articolo, così realizzato viene proposto in anteprima per il Sito CMPR, è stato possibile comporlo grazie a diversi amici come Rodolfo Ciuffoletti, Giampietro Fuscalzo, Daniele Guglielmi, Lorenzo Tonioli e Giorgio Breviglieri che ringraziamo sperando di non dimenticare qualcun altro !  Ringraziamo inoltre la Redazione del sito Internet curata dal CMPR  - Sezione di Bari, per aver triangolato il prezioso materiale fotografico fornito con grande disponibilità dagli amici Mr. Urmas Plinkner, Mr. Boris Kharlamov e dal Dr. Stefano Sogni, che ha dato il primo input a tutto il lavoro.
Grazie ancora a tutto lo staff del  Gruppo Modellistico Trentino ed al negozio Il Principe Nero.
Ultima, ma non ultima, un grazie più che caloroso ad Annalisa Tallillo per la preparazione del testo in versione inglese.

  

TAVOLE 

TAVOLA 1 – Contrassegni – tipo LXVII  Battaglione

   1 – Posizione contrassegno identificazione aerea
   2 – Stemma circolare metallico per corazzati RE
   3 – Posizione targa posteriore
   4 – Posizione anteriore contrassegno tattico su L6
   5 -  Contrassegno laterale
   6 -  Contrassegno posteriore
   7 -  Contrassegni carro Comandante del LXVII Battaglione 

 

TAVOLA 2 – Contrassegni tattici LXVII Battaglione

 

   1 – Comandante del battaglione (targa 4050)
   2 -  Plotone Comando (targa 4051) – Gli esemplari 2 (targa 3896) e 3 (4061) erano carri ‘Centro radio’
   3 – Primo plotone, 1 a Compagnia (3820)
   4 -  Secondo plotone  (3844)
   5 -  Terzo plotone      (3917)
   6 – Quarto plotone    (3882)
   7 -  Quinto plotone
   8 -  Primo plotone,  2 a  Compagnia (3830)
   9 -  Secondo plotone
  10 – Terzo plotone
  11 -  Quarto plotone
  12 -  Quinto plotone (4053)
  13 -  Foggia di alcuni numeri    

 

TAVOLA 3 – Interventi sul kit Model Victoria 1-35 (vedi testo)

 

 

TAVOLA 4 -  LXVII  Battaglione, Ucraina estate 1942

 

1 – Bersagliere in tuta e giaccone, addetto al rancio
2 -   Sergente, in tuta modello 26, capocarro
3 – Carro della 2 a Compagnia, che si distingueva per le bandierine (altri avevano un piccolo tricolore in alto (3A) ed almeno uno quelle dei tre Paesi  
     del  Tripartito)
  

TAVOLA 5 – LXVII  Battaglione, Ucraina autunno 1942

 

1 – Sottotenente, in giaccone ed uniforme di servizio
2 -  Gradi da avambraccio, Sottotenente
3 – Tenente
4 – Primo Tenente
5 – Capitano
6 – Primo Capitano
7 – Maggiore
8 – Carro del battaglione con la estemporanea mimetica adottata (fango su colore di base)

 

Il kit in scala 1/72 della Ditta "Il Principe Nero"

                    

               

 

Il modello in scala 1/35 autocostruito a metà degli anni '70 da G. Breviglieri, con tanto plasticard e altrettanta buona volontà. (foto Breviglieri)

       

 

Il kit in scala 1/35 della Ditta "Model Victoria"

                       

                       

Il kit completato, con i colori e le insegne dei Lancieri di Novara in Africa Settentrionale, 1942 - grazie alle decals A.W.D.

 

PHOTOFILE

L’esemplare, presumibilmente  targato RE 3912, terzo carro del terzo plotone della 1 a Compagnia, dei tre esistenti al mondo è quello meglio conservato, anche negli elementi meno massicci, foto di Mr. Boris Kharlamov a Kubinka (via U. Plinkner e S. Sogni).

                   

                   

                   

               

 

FOTO STORICHE

   Il prototipo definitivo, accettato con poche modifiche, qui con una colorazione estemporanea.

  L’unico L6 di una sezione dimostrativa del 3° Reggimento Carrista di Bologna, nella seconda metà del 1942 (coll. Tallillo)

   Alcuni L6 dei Bersaglieri arrivati da poco al fronte, in una messa al campo (coll. Castore via D.Guglielmi)

     Un L6, probabilmente della 2 a Compagnia,  in velocità.
     Si nota che la mimetizzazione improvvisata si ferma a metà del carro. (coll. Fuscalzo)

    Un sistema diffuso di mascheramento era quello delle frasche. (coll. Fuscalzo)

     Un plotone di L6 in trasferimento, anche qui il fango è stato applicato non su tutte le superfici. (coll. Fuscalzo)

    Altri carri del Battaglione, con la mimetica estemporanea di cui al testo (coll. Castore via D.Guglielmi)

   Fine della pista per un L6 dei Bersaglieri nel gennaio 1943. Il carro, è stato
     probabilmente rovesciato per fare spazio alla marcia di altri mezzi (g.c. Lorenzo Tonioli)

 

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