W. W . I

 

Carro armato inglese  : Mark  IV

    

     Fronte Occidentale  -  autunno  1917

 

 

        di  Andrea  e  Antonio TALLILLO  

 

 

Un pò di storia 

    Quando i carri Mk I entrarono per la prima volta in azione nella zona della Somme, nell’autunno del 1916, non erano preparati né dal punto di vista addestrativo né da quello dell’efficienza. Come se non fosse abbastanza, furono impiegati in ordine sparso, uno o due alla volta; avrebbero dovuto costituire il colpo di maglio per sfondare le linee tedesche finalmente, ma per farlo avrebbero dovuto percorrere un terreno sconvolto dalla artiglieria, così molle da ingoiare uomini e mezzi senza quasi lasciarne traccia ed attraversato da fiumi o corsi d’acqua in piena. La dottrina tattica dell’epoca si basava sul logoramento ed i carri rappresentavano nient’altro che un altro mezzo per applicarla. Negli ultimi giorni dell’offensiva delle Somme si sciupò la grande opportunità di usare i carri in modo d’avere un tangibile risultato. L’avversario stava già studiando i pochi carri che aveva catturato e sviluppò una speciale pallottola perforante. Quando i Mk I e i pochi Mk II entrarono di nuovo in azione sul terreno innevato di Bullecourt lo 11 aprile del 1917, questi nuovi proiettili (i “colpi K”) ne  misero fuori combattimento alcuni. Da allora ogni soldato tedesco ne ricevette cinque in dotazione ed i mitraglieri molti di più.

   La comparsa del nuovo munizionamento non passò inosservata da parte dei tecnici inglesi, che avevano già qualche idea in merito ai miglioramenti da apporre ai carri dopo le esperienze pagate care nel 1916. Uno di questi riguardò la revisione del fissaggio della corazza allo scafo, perché anche le pallottole normali, impattando, spesso penetravano nella corazza con i loro frammenti, ferendo l’equipaggio anche in modo grave. La struttura del nuovo Mk. IV, combinata con una più spessa corazzatura, permetteva una protezione di gran lunga migliore; unita poi alla migliorata ventilazione interna rendeva più confortevole la vita dell’equipaggio.  

       Il Mk IV fu il tipo inglese impiegato in maggior numero nel corso della Grande Guerra. Distribuito verso la fine dell’aprile 1917, era in pratica una rielaborazione dei precedenti modelli, che comprendeva diversi miglioramenti, frutto delle esperienze fatte a caro prezzo con le versioni precedenti,  in particolare :  

-        serbatoio benzina blindato e collocato tra le “corna” posteriori,
-        gondole laterali rientranti per diminuire l’ingombro nel trasporto stradale e ferroviario (in precedenza si dovevano smontare e trasportare separatamente)
-        catena di riduzione finale coperta da un carter, evitando infiltrazioni di fango
-        migliore sistemazione dell’equipaggio e del suo equipaggiamento, con cassette per razioni viveri ed acqua potabile
-        rotaia per trave da disincagliamento
-        strumentazione più completa (bussola e segnali luminosi tra pilota ed addetti al cambio)
-        cannoni più corti (al posto dei navali da 57/40) e mitragliatrici Lewis (e non Vickers) per non farli impigliare nei crateri o nel filo spinato
-        un silenziatore con un lungo tubo di scarico ed una cassetta superiore, scoperta, per il caricamento esterno sul tetto posteriore dello scafo
-        maggiore corazzatura (12 mm ?)

  In generale, grazie al sistema di raffreddamento, alimentazione e ventilazione migliorati e con una disposizione interna meglio organizzata, era in grado di svolgere abbastanza bene i suoi compiti. Il Mk IV fu impiegato per la prima volta a Messines il 7 giugno del 1917, in una di quelle grandi  battaglie pianificate dai comandi inglesi in funzione di una massa di fanterie semi-addestrate. Dopo di allora, il Mk IV venne chiamato a fornire appoggio in due circostanze di scarso rilievo prima che si presentasse la sua grande occasione.

   L’ordinazione aveva contemplato una fornitura di 1.015 carri (420 “male”, il resto “female”) nel febbraio 1917 se ne richiesero altri 205 in versione “rifornitori” . Del totale di 1.220, 850 dovevano essere completati dalla Metropolitan Carriage Wagon and Finance Company (a Wednesbury nello Stafforsdshire) e gli altri 370 dalla Foster (a Lincoln), con medie di 20 esemplari al mese. Nel 1918, c’erano in servizio 18 battaglioni sul fronte occidentale ed altri 7 in Inghilterra, ma solo due battaglioni ebbero in servizio il Mk IV, oscurato dall’ancora più efficiente versione Mk V.  

  

Breve descrizione tecnica  

    Il carro era del solito tipo a losanga, con postazione del pilota e del capocarro nella sezione anteriore dello scafo, a sospensione rigida. Il cingolo, una catena senza fine di 90 piastre metalliche inchiodate su 2 maglie di catena, ciascuna unita all’altra da un perno centrale a testa ovale, era sostenuto, nella parte superiore della sua corsa, da due lunghe rotaie d’acciaio e da 10 piccole carrucole di bronzo.

   Anche alcuni Mk IV ebbero i cingoli con piastre più larghe ogni sei elementi, per diminuire la pressione specifica sul terreno. Inferiormente, il peso era supportato da 26 paia di rulli, quelli con flangia servivano a evitare scingolamenti. Il motore era posizionato centralmente e la trasmissione arrivava alle due scatole cambio secondarie, attraverso un cambio principale a 2 velocità, una vite senza fine ed un differenziale. La riduzione finale era una catena Coventry per lato, su ruote dentate collegate alle ruote motrici posteriori. Il portello del conducente (25.5 x 30.5 cm) era adatto ai soggetti magri…, era stato aggiunto un altro portello sul tetto, ma l’abbandono del carro restava un pò problematico.

   Il serbatoio da 70 galloni era protetto e spostato sul retro, con una pompa Autovac, spesso non funzionante. La corazzatura, cruda per gli standards di oggi, era tagliata  e forata ancora prima del trattamento e poi indurita col calore, quella laterale era salita a 12 mm, ancora penetrabile a brevi distanze. Importante era la modifica alle gondole, non più fisse e richiedenti molto lavoro e fatica per smontarle, pesando ognuna di esse poco più di 1 ton., mentre ora esse erano più piccole e più facilmente smontabili, anche se rimaneva un lavoro difficile se condotto senza la concentrazione necessaria. Il sistema delle gondole rientranti, che facilitavano il transito anche in boschi o su strade strette, infatti esse tendevano a scivolare verso l’interno sulle loro rotaie-guida durante le marce su terreno accidentato, con spiacevoli conseguenze per l’equipaggio. L’armamento, nei carri “male” era costituito da due cannoni da 57 mm e tre mitragliatrici.

   L’esperienza aveva mostrato che i primi cannoni da 57, di origine navale, avevano canne troppo lunghe e fragili per l’uso terrestre, specie se cozzavano contro case o alberi. Entrarono in servizio cannoni più corti e leggeri di poco più di 1 quintale, che restarono l’armamento standard sino alla fine della guerra. Fu anche il primo carro nel quale si usò la Lewis, un’arma molto valida, ma che essendo raffreddata ad aria tendeva a surriscaldarsi a bordo, così gli esemplari più recenti ebbero la versione speciale da carro armato della Hotchkiss.

   L’adozione delle fascine da sganciarsi nei fossati anticarro divenne standard su alcuni esemplari, che usavano fascine del diametro di 1.5 mt e lunghe 3 mt. Una vera innovazione era la trave per il disincagliamento. Questa era una trave di legno ricoperto di metallo sorretta da apposite rotaie : in caso di necessità, veniva fissata ai cingoli con catena; il differenziale veniva bloccato ed il trave stesso fatto scorrere sulle rotaie, portandolo sotto al carro. Il congegno pesava 400 kg (?) ma rendeva in molti casi il carro capace di uscire dalle difficoltà coi propri mezzi, a vantaggio di una maggiore mobilità.

 

Il Mk IV “Fan Tan”   

    Questo particolare Mk IV fu costruito dalla Fosters di Lincoln nel marzo 1917, finanziato direttamente da un donativo di 6.000 sterline da un tale Mr. Eu Tong Sen, un membro del Concilio Federale degli stati della Malesia, da qui originò la presenza dello stemma ‘occhio cinese’ ed il motto ‘Non avendo occhi, come puoi vedere ?’ Immatricolato 2341 ed assegnato al Battaglione F denominato “Flypaper” (2nd Lt Oke) fu ribattezzato “Fan Tan” (Lt Aldridge) poco prima dell’attacco di Cambrai (20.11.17), quando una massa di più di 450 carri fu usata per assaltare il formidabile sistema di trincee della Linea Hindenburg. Il carro arrivò ai suoi obiettivi il 20 a Pam Pam Farm e Masnières Road e combattè il 27.11 in un aspro scontro a Fontaine–Notre Dame, un piccolo villaggio accanto ai boschi di Bourbon, tutto l’equipaggio fu ferito gravemente, ma tornò alla base. Rinumerato “6/36” (2 lt Munro) ed assegnato al 6° Corpo nella offensiva tedesca nella primavera 1918, tornò alle officine 19.6.1918.  

 

La battaglia di Cambrai  

    Da diverso tempo gli ufficiali superiori carristi insistevano con lo Stato Maggiore Generale perché venisse loro consentito di dare battaglia, in condizioni favorevoli ai carri, su terreno  non sconvolto dall’artiglieria ed in massa, per schiacciare ogni resistenza. Alla fine, i carri ebbero tale opportunità e combatterono l’epico scontro che la storia ricorda come battaglia di Cambrai (20 novembre 1917). Per vari motivi, il settore di Cambrai non aveva attratto l’attenzione dell’artiglieria nella stessa maniera di altri. La natura di quel terreno era in genere piana e scoperta, ma ostacolata da  tre linee di trincee tedesche. I carri avrebbero dovuto superarle e perciò gli equipaggi si erano addestrati ad agire in gruppi di tre mezzi, usando fasci di legname per attraversare le linee. Ciascun carro, a turno, gettava la sua fascina in una trincea facendo poi passare il carro retrostante. Per rendere le cose più facili, non era previsto nessun tiro preparatorio d’artiglieria, il che avrebbe dovuto favorire anche la sorpresa. Non meno di 378 carri dovevano prendere parte all’operazione, con il supporto di altri 98 carri “speciali” (carri radio e per il rifornimento di munizioni e carburante).

   Tutto era pronto verso le 6 del mattino del 20 novembre e la battaglia ebbe inizio. I carri, guidati in azione dal loro più alto comandante, il generale Elles, avanzarono nella nebbia, superando le trincee nemiche più vicine. L’addestramento precedente diede i suoi frutti e tutte e tre le linee di trincea furono superate. I carri che uscivano all’improvviso dalla nebbia impressionarono la fanteria tedesca, che in molti casi abbandonò le sue trincee per fuggire verso le retrovie, in molte postazioni isolate però i mitraglieri tedeschi restarono al loro posto sino ad essere letteralmente travolti dai carri. Una volta superate le trincee, i carri si trovarono in terreno aperto ed avanzarono in alcuni tratti per non meno di 8 km in larghezza e 4.000 yds in profondità (molto più che in tutte le battaglie delle Somme dell’anno precedente). Ma non tutto andò liscio, per esempio in un tratto una batteria tedesca di tre pezzi , anche se ne perse due, mise fuori combattimento non meno di 15 carri dei Battaglioni D ed E. Altri carri affondarono in buche profonde, come il carro del capitano Stilliwell del Battaglione B, che poi dovette respingere attacchi nemici per più di un’ora, usando solo il revolver d’ordinanza dalle feritoie previste nella corazzatura. Ma in generale le perdite erano state poche (meno di 4.000 carri), tutti gli obiettivi vennero raggiunti e i reticolati eliminati per consentire il passaggio della cavalleria. Essa però non arrivò mai ed i successivi contrattacchi tedeschi riguadagnarono tutto il terreno perduto in circa 10 giorni. Nel fallimento dell’operazione, c’era stata la mano dello Stato Maggiore inglese, perché le riserve disponibili erano state lasciate troppo lontane dall’azione e perciò inutili. I carri, non poterono mantenere da soli il terreno conquistato e dovettero essere ritirati per riorganizzarsi e rifornirsi, mentre la fanteria avanzata con loro era scarsa numericamente. La battaglia finì senza tangibili guadagni di terreno, ma almeno i carri avevano dimostrato la validità della tesi dell’impiego a massa. Se avessero potuto combattere in condizioni più adeguate ed in buon numero, i carri avrebbero potuto avere la meglio, lo avevano provato.

 

Scheda tecnica Mk. IV “Male”  

-  Peso : 62.719 pounds ovvero 28,45 t.   
-  Eq. 8 (capocarro, pilota, 2 meccanici, 2 cannonieri e 2 mitraglieri)
-  Dimensioni :  8050 x (3.910) 4.115 x 2.49 mt(2640) ?
-  Cingolo : 52 cm, a 90 piastre  
-  Velocità massima :  6.3 km/h (7.4)     
Autonomia : 56 km
-  Motore : Daimler, 105 hp a 1.200 giri , poi 125 ? 
-  Carburante : Aviation spirit, high octane, serbatoio da 70 galloni
-  Armamento : 2 cannoni Hotchkiss da 57/23, 4  mitragliatrici Lewis .303 oppure
                      2 Hotchkiss e 3 Lewis
-  Brandeggio :  - 5 + 15 ° orizzontale 100°
-  Munizionamento : 204 granate da 57 mm (184 granate He e 20 scatole a mitraglia) e  5.640 cartucce 
                               Oppure 12.972 cartucce (female) 
-  Corazza :  6 – 12 mm  Fronte . 12 mm lati e retro 12 mm fondo e cielo 6/8 mm 

  

Bibliografia  

AFV  1914’19 – Profile Publications Limited 1970
British tanks and names – Arms & Armour press 1978
Military Illustrated – Issue 40 – Settembre 1991
Great Battle tanks – Ian Allan 1979
Bellona Military vehicle Prints – no. 14  
The boilerplate War – John Foley
Landhsip – British Tanks in the First World War HMSO 1984  
Czolgi Brytyjskie  1914-1918 – Wydawnictwo n. 30 – 1996
British Mark IV tank – New Vanguard 133 – Osprey Publishing 2007 

 

MatricoleMk IV  – (Studio provvisorio)

528 2010 / 2860 ? 2025 male prima A sino 6.17 poi A25 Arethusa

2030 A 25 7.1917    2058  A25  male  12.17      2064  female recupero      2179 F4 Flirt II 

2324 excellent  (male)  2340  male,  E Btn2341 (fan tan) 2345 male, E Btn

2346 male E Btn – 2347 male E Btn – 2349 male e Btn – 2350 male, E btn – 2351 male, E Btn – 2353 male E Btn – 2354 male E Btn – 2558 female E Btn – 2585 female E Btn – 2587 female e btn – 2590 female E Btn - 2610 2620 ‘D 51’ female 2730 nero F I  

2739  female con gru       2752 nero – 2767 female E Btn – 2793 female E btn – 2798 female E btn – 2805 female E btn – 2806 female E btn – 2807 female E btn – 2809 female E btn – 2810 female E btn – 2815 female E btn- 2817 female E btn - 2818 female e Btn -2820 female  E Btn – 2844  female e btn -2846 female e btn - 

4018 male4023male (tender) E Btn 1918 -4057 male (tender) E Btn1918  4098 male ‘Lodestar’    4556 ‘L 26’ female       4571 ‘Liesel’  4586 / 4810 ?

46494687 Hotspur II (female) 6000 / 6015 ?  6012 ‘Lucretia II’  6043 carro rifornitore

8052 B grande (male)  8056 / 8095 ?

 

1 – Pronto al caricamento ferroviario, questo Mk IV presenta la configurazione
a gondole parzialmente retratte, tipicità di questa versione.

2 – Un carro del 3° battaglione durante una prova sul campo. La mobilità era ostacolata dal sistema di cingolatura
avvolgente come si evince dalla quantità di terreno smosso. - (IWM)

3 – Su questo esemplare del 6° battaglione catturato si notano le speciali maglie montate per aggiungere aderenza al terreno,
che comunque non avranno mai molta diffusione. - (coll. Tallillo)  

4 – Un altro Mk IV catturato, circondato da fanti tedeschi e svuotato di diverso materiale. - (coll. Tallillo)

5 – Una decina di carri in completamento in una fabbrica inglese.
        Si notano diversi dettagli del rudimentale treno di rotolamento.

 

6 – Un esemplare "male" in revisione tra molti altri ad Erin, il più grande centro di riparazione
e smistamento inglese del fronte occidentale. - (IWM)

7 -  Stanno smontando dal convoglio ferroviario alcuni Mk IV provvisti delle speciali fascine
studiate per l’attraversamento delle trincee. - (IWM)

8 – Uno dei Mk IV più famosi del periodo fu il ‘Fan Tan’,
con tanto di occhio apotropaico sui lati anteriori dello scafo - (IWM)

9 – Il restare bloccati in una trincea nemica era uno degli episodi
più frequenti per i primi carri armati - (IWM)

10 – Questo esemplare è diventato un comodo osservatorio per un gruppo di ufficiali  - (IWM)

11 – Per una serie di circostanze, il carro inglese divenne uno dei più usati carri
dei reparti corazzati tedeschi sino alla fine del conflitto - (IWM)     
 
                       
 
12 - Museo APG del Maryland (USA) - (coll. Piero Parlani)

 

Mark IV – Fronte occidentale, autunno 1917

 Camouflage e markings  

    In un campo di battaglia ridotto ormai a poco più di un deserto lunare di terra arata dalle esplosioni e solcata dalle trincee, non c’era molto spazio per l’elaborata mimetica verniciata sui primi carri inglesi Mk I. Già dagli inizi del 1917 era in uso il cosidetto “khaki brown”, descrivibile come un verde oliva scuro, tendente al bruno o ad un marrone medio. La descrizione del colore, come per quasi tutti quelli del periodo, è forzatamente imprecisa e ci può tranquillamente sviare. Per avere comunque un’idea si può ricorrere a quel che si sa per gli aerei dello RFC. Per essi, era fatta secondo una precisa specifica (la PC 10 ministeriale, PC sta per Protective Coat) dai pigmenti giallo ocra (ossido di ferro naturale) e nero carbone, 250 parti per il primo ed 1 parte per il secondo. Veniva fuori un bruno un po’ scuro, descritto come verde perché per scopi protettivi la miscela secca dei pigmenti era miscelata con cellulosa, vernice ad olio o con qualche altro liquido brillante, che davano l’effetto ottico di un viraggio al verde, almeno per la vernice stesa da poco, mentre con il tempo, il colore diventava un bruno scuro. Nel 1917/1918, la scarsità di materie prime fece sì che i due pigmenti venissero mescolati diversamente ed inscatolati come ‘kaki standard’ , da aggiungere al mezzo base più disponibile, così la colorazione poteva variare. Una vernice ad olio produceva un maggiore viraggio al verde, l’acetato di cellulosa no. Esisteva comunque anche un colore classificato PC 12,  un bruno rossiccio scuro. Su questa monotona livrea, in fabbrica si applicava la matricola, in genere bianca (anche se non ne mancano di nere, a “bassa visibilità”) posta sui fianchi posteriori dello scafo, più raramente anche anteriormente, sulla cabina dei piloti e posteriormente.

Poi, in reparto, si aggiungevano sui lati anteriori dello scafo  e a volte ripetute posteriormente, sigle composte da una lettera e un numero, in bianco, mentre la lettera indicava il battaglione in sequenza (A per il 1°, B per il secondo e così via..) il numero era quello individuale del carro nel suo ambito. A volte la lettera del battaglione aveva dimensioni veramente notevoli, come nel caso della B del 2° e della E del 5°, il primo reparto si segnala anche per il carattere “corsivo” della sigla su qualche esemplare, come il B. 23. Al posto delle sigle poteva apparire un nome individuale, la cui iniziale faceva individuare il battaglione d’appartenenza, ma c’erano eccezioni, ovviamente,  in genere bianco  e a volte ripetuto sulla piastra inclinata anteriore, e a volte, pure sulla piastra posteriore, magari in nero sull’intera piastra verniciata in bianco come per il 4° battaglione. In più di un caso, vennero assegnati nomi per la seconda volta, per ricordare carri “particolari”, in tal caso si applicava il suffisso II o III.  I nomi spesso non avevano una stretta logica, ed erano assegnati anche con un pizzico d’umorismo britannico, come per esempio si può apprezzare, scorrendo la lista per il 6° Battaglione. Si andava dai bellicosi F1 Firespite, F26 Fearless e F28 Formidable allo F11 Fizyama (storpiatura del famoso monte giapponese), ai molto adatti (per dei carri rifornitori) F17 Follow the Crowd e F19 Fill Up. Si continuava con gli augurali F45 Fiducia e F51 Fortuna al più realista F54 Festina lente (dal motto latino “Affrettati lentamente”). Sigle e nomi non avevano una dimensione o grafia comuni, perciò attenti a studiare qualche fotografia, prima di scegliere. Risulta che alcune rare volte, il nome individuale del carro fosse applicato anche alla trave per il disincaglio, una prova inconfutabile esiste però in ben pochi casi, come per il 2° battaglione. In alcuni casi, esistevano distintivi colorati di reparto, per i quali è ancora difficile stilare una catalogazione.

    Per distinguere velocemente i carri inglesi da quelli tedeschi catturati e reimpiegati, fu ordinato nel giugno 1918 di dipingere tre grandi strisce bianco-rosso-bianco  sui lati anteriori dello scafo e sulla cupola anteriore. Su alcuni carri, in occasione della battaglia di Cambrai, furono dipinte delle grandi lettere WC (per Wire Cutter o Wire Crusher, cosa pensavate ? ) in nero su fondo bianco costituito dall’intera piastra posteriore verticale.

   Mancando una radio a bordo, si usavano bandierine per comunicare fra carri e con le fanterie. Un esempio è quello della bandiera rosso-gialla in diagonale per segnalare “tutto bene”, quella quadrata nel colore del battaglione per il comandante di compagnia ed i pennoncelli nello stesso colore del reparto per i comandanti di sezione.

 

Il kit Emhar 4001 - Scala 1/35  

     Indubbiamente è un kit un pò grezzo, dagli alberi di colata irragionevolmente spessi e livello di dettaglio basico. Però è pur vero che è stato il primo, a memoria di modellista, in plastica, dopo tanti anni nei quali esisteva solo una confezione Airmodel seguita poi agli inizi 1992 da una MB, anch’essa in resina, ma con cingoli, cannoni e marmitta in metallo bianco. Una sua utilità la si può trovare, nel 2015, perchè essendo stato appunto il primo, in molti lo hanno ancora probabilmente tenuto da parte per farlo e tra quelli disponibili oggi come oggi, è probabilmente il più economico. Chi non si spaventa può seguirci, e sarà alle prese con difficoltà di montaggio, date, in primis dalla plastica un pò spessa e non  molto lavorabile, in più di un caso i pezzi più lunghi dello scafo sono già svergolati nella scatola, è quasi d’obbligo tramezzare lo scafo centrale per irrobustirlo. I cingoli sono poco utilizzabili, purtroppo all’epoca più che un “nastro” continuo di maglie erano composti da degli elementi a piastre, perciò è d’uopo almeno sostituirli con un qualche prodotto aftermarket.  Nel caso nostro sono i cingoli in resina, stampati bene e discretamente fini , della benemerita serie Trakpax della Accurate Armour codice T36 presi anni fa, ora come ora sono disponibili quelli in plastica della Model Cellar americana, sulla cui reperibilità non c’è da giurare e solo molto più di recente la Takom ha introdotto finalmente degli ottimi cingoli in plastica ‘piastra per piastra’ ma resta da capire se siano o meno compatibili con un kit come questo.

    Seguendoci, verrà fuori un kit da onesta rassegna, con lavori utilissimi “per farsi le ossa”, certo chi vuole un modello “da mostra” dovrà metterci molto più impegno oppure optare per un altro soggetto, purtroppo.

     Si comincia con il gancio di traino di prua (Tavola A – dett. 1); è riproducibile con un pezzo della confezione di fotoincisi Airwawes AFV35-010 dedicata al kit, una parte che risulterebbe “piatta” e abbiamo preferito sostituirlo con del buon vecchio plasticard, munito dei bulloni (ricavati da vecchi scafi). Anche il supporto anteriore della rotaia (2) è riproducibile anch’esso in fotoinciso, ma in questo caso è un pò spesso, si può sostituire con una piastrina ricavata da plasticard, da forare preventivamente con un punzone adatto e togliendo i 4 bulloni superiori del meccanismo di tensione del cingolo; la fascia va rifatta e poi rifinita con i bulloni, sempre recuperati (3). Sulle parti interne delle “corna anteriori”, erano portati i supporti dei fari (4), qui non ci sono parti fotoincise, ma poco male, si provvede con il solito plasticard e con nuovi bulloni. Per quelli più grandi si può ricorrere ad una delle numerose confezioni disponibili, in resina o plastica, per gli altri, se avete già costruito tanti modelli non sarà difficile toglierne dai fondo-scafo dei più vecchi, usando naturalmente una lama ben affilata, si incollano poi con gocce di colla liquida o cianoacrilato. Nella protezione dei cardini dei portelli anteriori della cabina di guida si possono aggiungere le teste laterali dei perni (5). Alle mitragliatrici Lewis si può applicare il “tappo” costituito dal pezzo B2 dei fotoincisi Airwawes (6). E’ vero che per il resto, le armi proposte ci fanno restare un po’ perplessi, ma solo di recente ci ha pensato la MR con le canne tornite del suo set 35453. La piastra posteriore dello scafo (7) va ridotta nello spessore con della carta vetrata a grana grossa, se, come può capitare avessimo rovinato qualche bullone, niente di meglio di toglierli del tutto per riposizionarne di nuovi. Di là della piastra bisogna aggiungere i cardini e la maniglia sul portellino al centro, dopo aver tolto l’assurda modanatura presente sul pezzo (8). Sulle “corna” posteriori vanno aggiunti, dopo averli ricavati da plasticard, il supporto della rotaia (9) e, proseguendo verso l’alto,  l’occhiello metallico (10), entrambi, ovviamente, uno per lato. Sulla piastra posteriore della sovrastruttura è presente una stretta griglia a sinistra, quella del kit è mancante della prima parte in alto, che era protetta da una piccola tettoia (11) ricavabile in plasticard, con i rivetti aggiunti sulla tettoia stessa.

    Sul tetto della cabina anteriore vanno applicati i quattro pezzi fotoincisi B6 e C13, sempre della confezione Airwawes, mentre lateralmente manca la striscia imbullonata (12). Passando alla postazione centrale (13), noteremo che essa manca del segno del portello, ovvero è stata stampata tutta in un blocco : si può ovviare con delle striscette di plasticard, una per lato. C’è da dire che Emhar propone una versione semplificata, mentre sembra più comune quella con il portellino di sparo circondato da rivetti. La cassa di stivaggio posteriore (14) era non più di un recinto e va completata  a parte, come un microassieme : prima si aggiungono le maniglie in filo di rame ai due portelli sottostanti nel cielo della sovrastruttura (A), poi si abbassa lo spessore delle paretine laterali (B), si aggiungono i sostegni posteriori della trave (C), in plasticard e con gli ormai famigerati bulloni recuperati. Si prosegue con i cantonali interni (D), sempre in plasticard con i bulloni e si finisce con le placchette laterali (E), sempre in plasticard coi relativi bulloni, che fissavano le paretine al cielo della sovrastruttura. Sarebbe opportuno armonizzare le aperture nelle paretine anteriore e posteriore (F) per il passaggio della marmitta, più che altro perché la dovremo lavorare un pò. E’ vero, un elemento così lungo, visibile e caratteristico (15) non lo si può trascurare, perché resterà un dettaglio tra i più salienti del modello. Dopo aver stuccato per bene, anche per lasciare una superfice più scabra, aggiungeremo inferiormente i tre bocchettoni d’entrata dei gas di scarico e una volta fissato il pezzo aggiungeremo le due fasce di trattenimento rivettate. La lunghissima pipa di scarico (16) ha bisogno di ben pochi dettagli, almeno nella sua parte iniziale. Dopo averla carteggiata, per renderne la superfice non troppo liscia, la si fa uscire dalla parte terminale della marmitta, che avremo autocostruito in precedenza (A) e per i primi due punti di fissaggio si può comodamente utilizzare, clonandola, la parte n. 8 della già citata confezione di fotoincisi Airwawes. In tutti i disegni in scala consultati, dai più vecchi a quelli più recenti, attorno alla pipa di scarico, nella parte che costeggia la postazione centrale, è rappresentata una fascia di amianto (17). E’ probabile ci fosse veramente, se non altro per maneggiare la pipa senza scottature, ma non essendone sopravvissuta neanche una, a quanto pare, l’abbiamo omessa. La parte finale del sistema di scarico dei gas è un pò più elaborata (18), la pipa dovrà passare dentro la scatola di stivaggio (vedi particolare 14), fissata appena prima da un altro attacco (A) ricavabile sempre clonando la parte n. 8 Airwawes e poi è protetta da una copertura, ricavabile da un comune ritaglio di piattino di plastica, curvato a caldo su di una dima in legno che ci saremo autocostruiti, con alla base gli attacchi sempre ottenuti da plasticard. Però non è finita qui, la pipa passava per tutta la scatola, uscendone, veniva fissata una volta di più. Nella versione più comune (19) finiva poco dopo, in un’altra (20), scendeva ulteriormente, finendo per essere imbullonata al bordo della piastra posteriore dello scafo, vedi particolare (7), con un attacco facilmente ricostruibile con il sistema già descritto più volte nel testo.

    Si può ormai passare a completare il carro con le tipiche gondole laterali, che non sono proprio perfette, anzi. Interventi più radicali andrebbero un pò oltre lo scopo di questo articolo, tuttavia si possono effettuare minimi lavori per arrivare ad un realismo accettabile, come stuccare la superfice delle scudature interne (21) e poi, prima di montare le gondole stesse, applicare una striscia di plasticard (22) ai bordi verticali dell’apertura, sulla quale applicare 12 bulloni (sempre che li abbiamo contati bene…). Non rimane che la trave di disincagliamento, ma anche qui non si può andare avanti senza aver meditato un pò. Pensando al più che discreto numero, per l’epoca, di Mk IV completati, probabilmente non ce n’era un solo tipo “standard”. Abbiamo deciso di realizzarla in legno vero e proprio (23), con un listello fresato e rifinito in modo che venisse già d’aspetto non troppo regolare e perciò più realistica. All’estremità, era applicata una striscia metallica utile a rinforzarle ed evitare troppo logorio. Nel kit della Takom, uscito di recente, detta trave è proposta in una versione più elaborata (24), con tanto di “faccia” metallica inchiodata, ma sembrerebbe troppo elaborata per essere in dotazione proprio ad ogni carro. Se decidete di realizzarla così, non dimenticate di applicare alla trave un diverso trattamento delle altre facce, magari con carta vetrata o con la punta di un vecchio cutter, per rendere l’effetto legno. Completeremo, in ogni caso, con i ganci di sollevamento (A), più facilmente realizzabili se avremo una classica “banca dei pezzi” ben fornita. Per la nostra, abbiamo usato catene e ganci provenienti da una confezione Royal Model.

    Ed è il momento dei cingoli, probabilmente la fase più faticosa per avere un minimo di realismo. Come già accennato, i cingoli del kit sono poco realistici, è pertanto giocoforza sostituirli. Ora come ora la gamma dei prodotti è più vasta, noi si aveva in casa solo una vecchia confezione in resina, di fattura abbastanza rozza e che comunque sono da ripulire e rimettere in linea. Applicandoli, abbiamo fatto tranquillamente a meno di usare ruote motrici e di rinvio, tanto sono nascoste completamente alla vista. La fase che contempla il posizionamento delle rotaie per la trave è leggermente meno faticosa, ma anche qui c’è da prestare molta attenzione. Quelle del kit sono proposte in 8 diversi pezzi, ma è preferibile sostituirli con le preposte parti della confezione Airwawes. Noi abbiamo preferito non montare le ultime parti posteriori, ma senza rinunciare a degli attacchi intermedi, che dessero un pò più di realismo. Nelle foto del w.i.p. sono apprezzabili meglio forme e dettagli dei vari attacchi, tuttavia sarà meglio ricapitolare. Per il primo pezzo (25), dopo aver posizionato gli attacchi laterali alla cabina di guida (A), sono quelli già preparati internamente, vedi dettaglio 12 della Tavola A, si prosegue con l’attacco della seconda parte (B), che farà unire il terzo ed ultimo pezzo (26) che finirà con un attacco (B) pronto ad ospitare, all’occorrenza, il quarto ed ultimo. Se nel corso della lavorazione le rotaie fotoincise non fossero venute proprio perfette, poco male. Non disturba vederle ammaccate un pò, specie pensando ad una pesante trave in legno che scorra su di esse, graffiandole e rovinandole in breve tempo.  

     Per la vernice di fondo abbiamo usato, a pennello, una miscela di colori Humbrol ovvero ¾ di HM 7 Khaki Drab con ¼ di HB 2 Dark Earth della stessa marca. Probabilmente sarà sufficiente una sola mano, da sporcare abbondantemente per il treno di rotolamento e nelle parti basse dello scafo lasciando alcune parti del colore originale devono essere lasciate visibili, perchè lavate dalle frequenti piogge. All’epoca di Cambrai, comunque, il terreno era più fermo e verdeggiante, perciò all’occorrenza ci si può limitare ad alcuni tocchi “a pennello secco” in toni di marrone Matt 26, oppure meglio ancora con le tempere Terra d’Ombra ed Ocra, metallo (53) ove esistano sfregamenti e ruggine. Per le decals, si tratta solo di due “occhi” recuperati dalla solita “banca” che intuirete ben fornita, mentre la matricola nera 2341 è stata ottenuta da trasferibili di opportune dimensioni e stile. I cingoli vanno dipinti con cura nel banale Humbrol 53, poi ripassato con della grafite, ricavabile temperando una matita, che scurirà il tono generale ma renderà molto bene l’effetto del metallo; non sarà male comunque un  successivo lavaggio con un marrone chiaro rossastro (Hs 216), per evidenziare parti che siano rimaste arrugginite. Il tubo di scappamento, salvo il manicotto se lo avete riprodotto, è da verniciare in marrone chiaro rossastro e lavato poi con del nero (Matt 33). Fin qui abbiamo fornito sigle Humbrol, ma chi è ormai abituato ai Model Color sarà avvantaggiato dallo specchietto d’equivalenze che forniamo a parte. E’ comunque appena uscita la confezione MIG 7111 nella quale sono riuniti 6 colori acrilici per carri inglesi e tedeschi del periodo.

   La basetta, quanto mai utile per maneggiare un mezzo di questa mole, è stata realizzata nel nostro stile prendendo semplicemente una cornice da quadretto e preparandola con un ritaglio di compensato incollato con colla vinilica, a fare da supporto a un pò di terreno, riprodotto senza troppi altri elementi. Il terreno stesso è ottenibile con una miscela di Das, terre colorate, sabbia e sassolini, colorata con tempere nelle tonalità Terra d’Ombra ed Ocra. Una volta asciutto il preparato, steso con cura specie negli angoli in modo che non ne trasudi neanche una goccia, si può incollare a sua volta il modello. E’ sufficiente un pò di vinavil, premendolo un pò per dare il senso del peso, ultima fase è quella dei cingoli, da ricoprire qua e là con piccole quantità del preparato usato per il terreno, distribuendone una versione più chiara dove il fango si è seccato, o più scura e ripassata con una punta di vernice lucida dove è ancora fresco. Quando il carro è fermo sulla sua base, non guasta ripassare con delicatezza su bulloni, spigoli e giunture con la punta di una matita, farà miracoli in fatto di realismo aggiuntivo.

 

                

 

Scheda altri prodotti modellistici  - Mk IV Male

 Prodotto      Codice                  Marca                Materiale  
 
Kit              1031                      MB                    Resina 
Kit               2008                     Takom               Plastica
Kit               2010                      Takom              Plastica  - (Versione Hermaphrodite)
Kit               30057                    Tamiya 
Fotoincisioni    AW 35010            Airwawes 
 
Cingoli        MC 35101             Model Cellar    Plastica
                    135132                  Masterclub        Resina
                    ATL 147               Friulmodel        Metallo
                    ATL 149               Friulmodel        Metallo - (Set che riproduce le estensioni ai cingoli, poco usate sul Mk IV )  
 
Detail Set   431                        MR                     Resina - ( Carichi, trave, nuovo cielo con portello zona conducente per carri ultima produzione)
 

Tabella equivalenza colori  

Colore Humbrol                             Colore Model Color  

HM  7  Khaki drab                                   924
HB   2   Dark earth                                   921
Marrone   26                                            879
Metallo    53                                            863
Ruggine    Hs 216                                    982
Nero         33                                           950

                            

                 

               

               

           

               

           

           

               

           

               

               

               

           

           

           

           

 

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